Storie di mafia: quando Bossi vendette la Giustizia (e la Lega) alla mafia

L’alleanza tra Bossi e la mafia fu sancita dalle elezioni del 2001 e costituì un elemento di notevole importanza, per le vicende del partito e per la storia della politica italiana. Le cene di Arcore a Villa San Martino con Berlusconi, l’intesa per la costituzione della Casa delle Libertà e l'affermazione elettorale condussero il leader della Lega Nord a ratificare la connessione con la mafia a due livelli: uno politico ed uno interno al partito. Il primo fu sancito dalla nomina di Castelli come Ministro della Giustizia. Tra i peggiori ministri della Seconda Repubblica, Roberto Castelli si distinse per le aggressioni comandate nei confronti della magistratura (giunse fino ad inviare degli “ispettori”) e per gli interventi a tutela della posizione di Silvio Berlusconi, che per i noti e molteplici motivi inerenti le sue vicissitudini imprenditoriali e personali era indagato in numerosi processi. I provvedimenti a favore dell’illegalità si moltiplicarono. Fu questo il segno distintivo della svolta che Bossi aveva voluto imprimere alla politica della Lega: per continuare a cercare di raggiungere il suo obiettivo federalista/secessionista/autonomista, il Senatur non ebbe rimorsi ad appoggiare politiche corrotte e mafiose.

Sul piano interno, la nomina di Castelli ebbe un effetto molto forte: l’allora ministro diventò l’esponente di riferimento di tutti i personaggi ambigui e disonesti che appartenevano al partito, ai quali da quel momento fu permesso di prendere l’egemonia. La “mafia Lega” fu ben contenta di poter iniziare a “mangiare” soldi pubblici tramite le alleanze che le permisero, anche negli ambiti amministrativi più bassi, di spartirsi ruoli, poltrone, affari, finanziamenti, contributi, commesse e appalti. In breve tempo, una classe di incompetenti, ignoranti, famelici e corrotti politici e politicanti estromise dal partito la classe dirigenziale precedente, più professionale, idealista e rivoluzionaria. Si comprende così il fondamentale aspetto economico. Bossi vendette effettivamente la Giustizia (e la Lega) alla mafia, sia a livello parlamentare e governativo, sia a livello locale. Questa vendita comportò le spartizioni indicate in precedenza, a cui si sommarono, in virtù del mercato della pubblicità, crescenti promozioni e sponsorizzazioni, raccolte dai media del partito (e lautamente incassate).

Per ovviare ai consensi calanti, che avevano ridotto le percentuali di voto a favore della Lega, il partito si volse interamente alla ricerca di suffragio popolare tra la società italiana, in particolare del Nord Italia, in maggioranza “mafiosa”. I rappresentanti politici della Lega iniziarono ad avere caratteristiche sempre più scarse, come notiamo tuttora. L’ostilità nei confronti della Giustizia e quindi il perseguimento di una politica mafiosa e deviata rimasero un elemento caratteristico della politica della Lega, che proseguì fino ai giorni nostri, orchestrato adesso da un personaggio come Salvini, che, senza un titolo di studio universitario e con il patentino di giornalista ottenuto scrivendo lettere fittizie dei lettori, continua la politica mafiosa, delinquenziale e indecente che fu inaugurata nel 2001, propria del voto di scambio politico-mafioso (art. 416-ter c.p.). Il movimento fu coinvolto costantemente in inchieste per reati e corruzione. Di fatto, un nuovo "sistema" di spartizioni partitocratiche sostituì quello scomparso con la Prima Repubblica, fondato sulle distribuzioni tra Pentapartito (in particolare Dc e Psi) e Pci. In un sistema-Paese che soffre le inefficienze della pubblica amministrazione, il problema risulta essere ancora rappresentato dagli amministratori stessi.

Non c’è da stupirsi, quindi, se vediamo riforme della Giustizia a tutela dei delinquenti e dei mafiosi, o norme limitative delle intercettazioni, di cui i politici hanno estremamente paura per via dei loro “affari”. E in tutto questo, attualmente, Nordio, un ex-magistrato, assume un ruolo personale, ricordandoci “il corvo” della questura di Palermo (Alberto Di Pisa), o il giudice “ammazzasentenze” della Cassazione (Corrado Carnevale). In uno scenario simile, i politici sguazzano tranquilli, proteggendosi a vicenda, proteggendo la loro “casta”.

17.09.2024

Alessandro Ceresa