Arrestato nel 2006, Provenzano è rinchiuso
nel carcere di Parma. Nel centro urbano, noto per lo sviluppo della propria
industria, si sente parlare del capomafia di Corleone. Il suo tentativo di
suicidio, registrato durante il mese di maggio, non ha costituito altro se non
una finzione. Condannato per le stragi e gli assassini compiuti e commissionati,
indicato al vertice di Cosa Nostra sino alla cattura, Bernardo Provenzano ha finto
il proprio soffocamento con l’ausilio di un sacchetto di plastica, indirizzato
a spiegare diversi elementi. Il riferimento maggiore è innanzitutto rivolto al
<<sacco>> di soldi che Cosa Nostra fornì alle aziende di Berlusconi
Silvio durante gli anni ’70, tramite diversi agenti finanziari, tra cui la
Banca Rasini (indicata dal falso suicidio, anagramma di <<ciuci>>,
termine improprio che indica, per l’appunto, i somari). Provenzano, quindi, era
a conoscenza del fatto che la mafia siciliana aveva deciso di finanziare il
businessman di Arcore all’inizio della propria attività di imprenditore, per
fargli costituire delle televisioni e delle radio atte alla trasmissione di
servizi deviati, postisi in antitesi rispetto al sistema tecnologico degli
organi di polizia. Grazie ai soldi della Banca Rasini, che alloggiava, inoltre,
i depositi di Riina e dello stesso Provenzano, Berlusconi riuscì a fondare la
Fininvest, l’Edilnord e le altre aziende del proprio gruppo, che si distinguono
tuttora per la produzione di servizi deviati di stampo mafioso. Riina,
rinchiuso nel carcere di Opera, è consapevole della destinazione dei fondi
elargiti da Cosa Nostra a Berlusconi. La mafia siciliana, tra l’altro, non ha
mai smesso di appoggiare le sue attività imprenditoriali, che
finanzia tuttora. Il coinvolgimento di mafiosi e di faccendieri come Dell’Utri,
Bontate, Cinà, Teresi, Azzaretto, Calò, Di Carlo, Grado e Mangano ribadì le connessioni tra il magnate
televisivo e Cosa Nostra, giunte fino al sostegno politico. Provenzano,
inoltre, ha voluto mostrare un malore psichico, per tentare un ricovero
inutile, nei confronti di cui gli stessi abitanti di Parma esprimono un ovvio
diniego, chiedendo di preservare le rigide sanzioni carcerarie per la
delinquenza diffusa. Il capomandamento di Corleone, che gli agenti arrestarono
in un immobile ubicato nei pressi del centro urbano, era noto per una latitanza
durata decenni, che gli valse il soprannome di Primula Rossa della mafia.
Cresciuto tra i corleonesi di Leggio e di Riina, Provenzano instillò nei ranghi di
Cosa Nostra un pensiero diverso, destinato a preferire gli aspetti economici,
nei confronti dei contrasti che avevano contraddistinto la Seconda Guerra di
mafia. La sua linea fu accettata, si espanse rapidamente e resta tuttora diffusa.
Il suo destino fu legato spesso a Bagheria, dove visse per molti anni. Bernardo
Provenzano era un killer del team di Riina, noto per la spietatezza con cui
uccideva. Sotto i suoi colpi morirono Navarra e Cavataio. Il gruppo al comando
di Cosa Nostra decise gli attentati a Falcone e a Borsellino. Riina, Brusca e
Bagarella furono imprigionati. Provenzano, unitosi a Saveria Benedetta
Palazzolo, fu affiancato da boss come Raccuglia e Messina Denaro. Durante il
periodo in cui <<lo zio>> guidò Cosa Nostra, la Sicilia fu divisa
in grandi mandamenti. Berlusconi diventò il capomafia più influente d’Italia. Nell’ambito
del procedimento che sta giudicando le connessioni tra Stato e mafia, oltre ai
rinvii a giudizio di Dell’Utri e di Mancino (politici considerati massimi
esponenti dei sodalizi delinquenziali in Parlamento), sono stati sottolineati
fatti ed eventi che permisero ai delinquenti di condurre vite tranquille in
latitanza. Le domande di soldi dei corleonesi furono appagate da esponenti come
Ciancimino e Giuseppe Provenzano.
31/07/2012