
La strada tra Kabul e Jalalabad è costituita da un tracciato tortuoso, asfaltato, a due corsie, che si snoda attraverso le gole che dividono i monti aspri dell’ambiente desertico. Si vedono centri urbani, negozi, stazioni di rifornimento, case e persone normali, oltre ad abitazioni bombardate e mitragliate, auto e camion distrutti, postazioni militari della polizia e dell’esercito afgano, humvees e carroarmati, furgoni con soldati armati di kalashnikov e bazooka. Alcuni di loro hanno il viso coperto da passamontagna. La via è soggetta a blocchi, dovuti ai combattimenti. Vi sono delle grotte, da cui gli insorti colpiscono i convogli di auto, di camion e di blindati alleati. Jalalabad è un
forefront. In città, si sentono spari, di giorno e di notte: poliziotti, guerriglieri e militari afgani svuotano interamente i caricatori dei kalashnikov. Aerei ed elicotteri da guerra statunitensi sorvolano i cieli. I carroarmati Usa pattugliano le strade. Un blindato americano è stato riportato alla propria base con le ruote e il semiasse distrutti dall’esplosione di una mina. L’avantreno, annerito e bruciato, è stato distaccato dal resto della vettura. I lanci di bombe a mano fanno tremare le pareti e i vetri delle abitazioni. Gli statunitensi sono ovviamente i targets dei lanciamissili e dei mortai dei guerriglieri. A Jalalabad, c’erano dei campi di addestramento alla jihad, allestiti da Abdul Rasul Sayyaf e da Osama bin Laden, costituiti da bunkers e da poligoni. Nel buio, i fari accesi delle auto interrompono l’oscurità delle vie non illuminate. Ieri, verso l’una di notte, due elicotteri statunitensi hanno sorvolato a bassa quota il mio hotel. Un poliziotto ha esaminato il mio passaporto, chiedendomi se volevo un "passaggio". Per colpa dell’attentato di una banda di afgani, Maria Grazia Cutuli morì nel 2001, in un paese tra Jalalabad e Kabul. All’uscita della capitale, passati i campi militari degli eserciti della Nato, un gruppo di talebani, armati di aste di legno, ferma le auto in prossimità di un mercato e di uno scavo, dove si nota il colore dorato delle rocce afgane. <<Mangio cadaveri>>. Uno dei passeggeri che hanno viaggiato con me fino a Jalalabad ha spiegato così l’infezione che gli sta erodendo il viso. Il cannibalismo non è diffuso solo in Afghanistan, ma anche in India, in Pakistan e in Tibet, dove i segni delle relative malattie sono evidenti…
Film: Jalalabad e la strada di connessione con Kabul
29/09/2009