Guerra
Un attentato ha colpito oggi l’Ambasciata dell’India in Afghanistan, a Kabul. L’esplosione di un ordigno ha causato 17 morti e quasi un centinaio di feriti. Le prime informazioni hanno indicato come mandanti i Talebani. La tecnica suicida si è rivelata mortale. La rappresentanza diplomatica di Delhi è posta in una strada del quartiere di Shar-e-Naw, a fianco dell’Ambasciata Indonesiana. Prima dell'attentato, all’inizio della via i soldati fermavano le persone e chiedevano i passaporti. Alcune macchine potevano entrare liberamente, anche ad alta velocità. I poliziotti afgani presidiavano l’ingresso davanti a cui è esplosa l’autobomba. Ritiravano accendini, coltelli e armi a chi doveva contattare le autorità indiane. I guardiani dell’Ambasciata sostavano oltre i muri e le porte blindate che delineavano la prima cintura di sicurezza, armati di kalashnikov e di mitragliatori. Alcuni di loro dovrebbero essere stati feriti. Il Consolato indiano mi aveva rilasciato un visto, chiedendomi pochi dollari. Fino al 3 ottobre, abitavo a un centinaio di metri di distanza. Conoscevo le persone della zona e i negozi adiacenti. I bambini facevano l’elemosina o vendevano chewing gums. Un vecchio, senza una mano, vendeva tessere per telefoni. Avrebbe potuto essergli esploso un ordigno tra le dita, accidentalmente o per colpa di un guasto cagionato da altri. Era senza dubbio un guerrigliero di una delle fazioni che avevano combattuto per il dominio dell’Afghanistan prima dell’invasione Usa. Le persone senza gambe erano molteplici. L’attentato ha distrutto protezioni e abitazioni. C’era troppo sangue nelle immagini diffuse dalla stampa internazionale. Si spara tuttora in Afghanistan e la guerra comporta dei morti. Le città e le zone hanno i propri capi, warlords che controllano bande e guerriglieri. Il 6 ottobre, erano stati uccisi 8 GIs statunitensi, appartenenti alla Quarta Brigata, impegnata nella provincia di Jalalabad, attaccati da centinaia di insorti con mortai e missili. In una settimana, le aggressioni contro le truppe Isaf avevano fatto registrare altre vittime. Quattro soldati alleati erano morti pochi giorni prima a causa degli assalti afgani. Dagli aeroporti, decollavano regolarmente i mezzi dell’aviazione Usa per bombardare gli estremisti. Nella zona di Helmand, quindici persone erano state uccise o ferite da un raid aereo all’inizio di ottobre, nella stessa area in cui gli afgani avevano aggredito delle truppe inglesi. Un jet alleato aveva lanciato un unico ordigno di precisione verso una postazione nemica. Un comandante della guerriglia, Zalmay Kochi, era morto durante un raid. I Talebani avevano anche rivendicato l’abbattimento di un elicottero della Nato nella provincia di Nangarhar, nei pressi della regione di Khyber. L’Isaf aveva smentito l’azione, adducendo un’emergenza: il velivolo avrebbe raggiunto la propria destinazione. Nella zona di Qarabagh, sulla strada tra Kandahar e Kabul, gli insorti avevano attaccato un convoglio alleato, incendiando due autobotti che trasportavano combustibile e danneggiando un carroarmato. In un’operazione di setaccio nei dintorni di Kandahar, alcuni guerriglieri erano stati ammazzati dai colpi delle forze alleate e dell’esercito afgano. Durante l’operazione, erano stati rimossi mitragliatori, bombe a mano e attrezzature radio. L’Isaf aveva recuperato dell’esplosivo posto in una macchina parcheggiata ai bordi della via verso l’aeroporto di Herat. Un giovane era stato colpito da spari nella propria abitazione. Questi episodi, di norma, sono dovuti alla mancanza di cultura, alla miseria e a problemi finanziari. Avevo parlato con una responsabile dei programmi di investimento internazionali, a Kabul. Gli abitanti dei paesi richiedono tuttora la realizzazione di progetti inutili o troppo costosi, nonostante l’evidente ritardo di sviluppo. Il Governo dovrà fronteggiare accuse di frode per le presidenziali. Il numero delle vittime appartenenti alle truppe alleate, in 4 mesi, ha raggiunto quota 156. Gli afgani sono 28.000.000. Senza gli accordi per la sicurezza, la guerriglia potrebbe disporre di alcuni milioni di combattenti. Di notte, molte strade sono senza lampioni. Nelle vie di Kabul, si vedevano dei furgoni bianchi e rossi, a bordo dei quali vi erano miliziani con divise mimetiche e giubbotti antiproiettile, armati di kalashnikov, come tutte le squadre di poliziotti, di militari e di guardie che si notavano in città. A volte, si sentivano scattare le chiusure di sicurezza. Le macchine della polizia, spesso, erano sprovviste di mitragliatori montati sul sostegno destinato alle armi. Il conflitto è quasi finito. Rimane una guerriglia diffusa, a cui si sommano le azioni di bin Laden, di Omar, degli estremisti di al-Qaida e dei Talebani. Gli afgani, inoltre, per tutelare le proprie scarse ricchezze (oro, argento, uranio, ferro…) sono disposti a mostrare lo stato di guerra, utilizzando i kalashnikov, ma l'invasione Usa dovrà condurre ad una pace.
Film: Kabul
08/10/2009