Un soldato iracheno a Bassora |
Il 20 marzo 2003, i militari statunitensi e britannici iniziarono l’Operazione Iraqi Freedom, per togliere al regime di Hussein ogni capacità offensiva. L’aviazione alleata svolse i primi bombardamenti, condotta da due F117 dell’8° Squadrone e supportata da aerei EA-6B Prowler, indirizzati al disturbo elettronico. Saddam si rifiutò di lasciare la nazione. Gli allarmi della contraerea allertarono Baghdad. Gli obiettivi delle azioni militari furono rivolti al crollo della dittatura, all’isolamento e all’eliminazione dei siti sospetti esistenti in Iraq, alla ricerca e alla cattura di integralisti, all’individuazione di elementi di intelligence connessi ai networks terroristici, alla sospensione delle sanzioni, alla diffusione di aiuti alla popolazione, alla sicurezza dei giacimenti di petrolio e alla preparazione delle condizioni per la formazione di un governo democratico. Gli ordigni di precisione colpirono i targets militari iracheni. Nella regione del Golfo, 300.000 soldati alleati si prepararono all’invasione. Tra di loro, c’erano le truppe d’élite che avevano partecipato all’attacco statunitense in Afghanistan. Il Pentagono impiegò il maggior numero di militari e di mezzi dopo la guerra in Vietnam. Il 21 e il 22 marzo, la 3a Divisione di Fanteria stava già inoltrandosi nel deserto iracheno, avanzando dal Kuwait verso nord-ovest, incontrando scarsa resistenza. La Prima Forza di Spedizione dei marines raggiunse i giacimenti e la periferia di Bassora, perdendo due componenti, uccisi dagli iracheni. Gli scontri riguardarono anche Umm Qasr e Safwan. Alcuni impianti petroliferi furono dati alle fiamme. La 51a Divisione Meccanizzata dell’esercito di Saddam si arrese e 8.000 soldati iracheni furono fatti prigionieri. Dopo 100 miglia di marcia nella polvere del deserto, la 3a Brigata della 3a Divisione si scontrò nei pressi di Nassiriya e di Tallil con l’artiglieria dell’11a Divisione della Fanteria irachena, che subì troppe perdite e si consegnò al nemico. I missili dei sottomarini britannici, dell’aviazione e delle navi statunitensi colpirono obiettivi militari e postazioni del regime, a Baghdad e nelle altre città, con centinaia di raids, che comportarono il lancio di migliaia di ordigni Tomahawk, Trafalgar e Splendid. La marina di Londra affondò delle navi nemiche. I Patriot intercettarono le testate degli iracheni. La Us Army utilizzò come carroarmati soprattutto i blindati Abrams. Gli scontri di Nassiriya comportarono battaglie strada per strada. Dal 23 marzo al 3 aprile, i soldati statunitensi e inglesi continuarono ad avanzare, proseguendo le operazioni e i combattimenti a Umm Qasr, Bassora, Najaf, Hillah, Diwaniya, Nassiriya, Samawah, oltrepassando le città e inoltrandosi secondo due linee in direzione di Baghdad. La testa di ogni troncone fu tutelata dagli attacchi laterali tramite aggressioni alle truppe nemiche. L’aviazione colpì le posizioni dei soldati della Guardia Repubblicana e dei guerriglieri del movimento Ansar al-Islam, connesso ad al-Qaida. Gli aerei statunitensi eseguirono migliaia di attacchi, bombardando le postazioni e le città. I componenti del Partito Baath di Saddam opposero più volte una sensibile resistenza. Un migliaio di paracadutisti del Combat Team della 173a Brigata statunitense assaltò Bashar, nel nord dell’Iraq, dove stavano dirigendosi altre milizie. Gli elicotteri Apache e Cobra supportarono le truppe poste al suolo. Le unità delle Divisioni Aviotrasportate statunitensi attaccarono i guerriglieri a Najaf e Samawah. Volontari siriani attraversarono il confine per aiutare l’esercito iracheno. Gli iraniani fornirono il proprio appoggio al movimento Badr. I Fedayeen di Saddam aggredirono i convogli statunitensi. Iniziarono gli attentati suicidi con le autobombe. Alcuni missili Tomahawk colpirono Arabia, Siria e Iran. Statunitensi e inglesi occuparono gli aeroporti, annientando le unità blindate di Hussein e i sistemi di difesa, subendo delle perdite e infliggendone in misura maggiore agli iracheni. Le divisioni Baghdad, Medina e Al Nida della Guardia Repubblicana rimasero a difesa della capitale, formando una cintura di sicurezza. La 3a Divisione di Fanteria del Pentagono ammassò le proprie truppe a sud di Baghdad. La Prima Divisione dei marines proseguì l’invasione da sud-est. Missili lanciati da jets e portaerei colpirono il nord dell’Iraq, Baghdad, Abu Garayb, i centri di intelligence, le postazioni militari, l’artiglieria e altri obiettivi strategici. Lo status di prigionieri di guerra garantì l’integrità degli iracheni catturati. Le unità statunitensi provenienti da sud-est e da sud-ovest giunsero a 50 km da Baghdad. Il 3 e il 4 aprile, la 3a Divisione attaccò e catturò l’aeroporto internazionale di Baghdad, sconfiggendo la Guardia Repubblicana di Hussein, invadendo lo scalo con i propri blindati e combattendo per ore. I jets alleati colpirono il comando dell’aviazione irachena. I marines eliminarono la resistenza delle divisioni poste nei pressi di Kut. I siti di Saddam furono ispezionati e furono individuate armi non convenzionali. Il 5 aprile gli statunitensi entrarono a Baghdad, giungendo fino al Tigri, in un raid destinato a farli ricongiungere con le truppe posizionate all’aeroporto. Il 6, il 7 e l’8 aprile, gli americani continuarono gli scontri nella periferia, consolidando l’occupazione dello scalo di Biap, occupando gli immobili presidenziali. Carroarmati e aviazione bombardarono l’abitato urbano e le postazioni di Saddam. I marines attraversarono il fiume Diyala, avanzando da est e conquistando l’aeroporto di Ar Rasheed. L’assedio di Bassora si concluse con la caduta della città. In Kurdistan, 70.000 miliziani preparati dalla Divisione Attività Speciali della Cia fornirono il proprio supporto agli alleati. Il 9 aprile, la 3a Divisione di Fanteria e la 1a Divisione dei marines invasero il centro di Baghdad, abbattendo la statua di Hussein. I combattimenti continuarono nei giorni seguenti. Le truppe statunitensi conquistarono le ultime roccaforti del regime, compresa Tikrit. La prima fase della guerra lasciò quindi spazio all’occupazione dell’Iraq, svolta fino al 2009 con un numero di soldati oscillante tra le 130.000 e le 150.000 unità, mobilizzate in tutta la nazione. Le prove riguardanti l’esistenza di siti destinati ad armi non convenzionali confermarono le informazioni iniziali. Le perdite statunitensi dovute all’invasione implicarono 138 militari morti e 542 feriti. Le operazioni svolte dal mese di maggio del 2003 comportarono l’impiego dell’aviazione e lo spostamento di truppe, per soffocare le sacche di resistenza, combattere gli insorti e stabilizzare la nazione. Dal 2003 alla fine di ottobre 2010, le cifre ufficiali rivelarono oltre 4.700 morti e 30.000 feriti tra le truppe alleate. Durante un periodo di oltre 7 anni, le vittime dovute a combattimenti furono causate soprattutto da ordigni esplosivi improvvisati, incidenti aerei, missili, attentati e scontri a fuoco. Le stime attendibili dei morti fra gli iracheni indicarono oltre 100.000 perdite. L’Iraq non è il Vietnam. In Iraq, gli statunitensi vinsero la guerra, ma furono vittime della guerriglia.
Film: The Road to Baghdad
Alessandro Ceresa ©
26/11/2010