Gheddafi e la giustizia internazionale

Il mandato di arresto nei confronti di Gheddafi, sottoscritto dal Tribunale Internazionale dell’Onu, è preciso, ma non è definitivo. Ci sono altri reati, di cui è colpevole il leader libico. I giudici delle Nazioni Unite hanno indicato come atti illeciti l’assassinio e la persecuzione dei dissidenti. Visti gli eventi rivoluzionari accaduti in Tunisia e in Egitto, la Libia ha disegnato al più alto livello una politica statale atta a utilizzare persino la forza mortale, indirizzata alla repressione e alla dissuasione di dimostrazioni rivolte contro lo stesso Gheddafi. Dal 15 al 28 febbraio 2011, le agenzie di sicurezza libiche, tra cui i sistemi militari, hanno condotto aggressioni nei confronti dei contestatori del regime, uccidendo e arrestando centinaia di individui, a Tripoli, Bengasi, Tobruk, Misurata, Derna, Ajdabiya. Gheddafi, in veste di leader supremo della nazione, aveva il monitoraggio totale dell’apparato del potere e delle forze di sicurezza. Suo figlio, Saif Al-Islam Gheddafi, esercitava il ruolo effettivo di premier. Il capo dell’intelligence libica, il sudanese Abdullah Al-Senussi, ha utilizzato i propri poteri per comandare gli attacchi delle truppe a Bengasi ed è il terzo indagato. La responsabilità di ciascun presunto colpevole consiste nella programmazione di azioni fatali destinate ad inibire ogni dimostrazione contraria alla dittatura. La Prima Camera del Tribunale Penale Internazionale, composta da Sylvia Steiner e da altri due magistrati, ha chiesto l’arresto dei sospettati, al fine di prevenire la reiterazione dei reati. Ovviamente, Gheddafi non è solo responsabile delle morti registrate durante il primo periodo delle rivolte. Il leader libico è un individuo ben noto al sistema internazionale, per tutti gli atti terroristici commissionati o commessi da agenti e da militari libici nel corso di decenni e per la repressione sistematica dei dissidenti. Il pascià di Tripoli, inoltre, agì come boss di riferimento di tutto il sodalizio mafioso costituito dalla delinquenza diffusa negli Stati magrebini. Gli integralisti preparati nei suoi campi di addestramento e le milizie libiche fornirono innumerevoli elementi di instabilità in Africa, in Asia e in Europa. I soldati di Tripoli appoggiarono ufficialmente persino la Guerra del Kippur e sovvenzionarono i gruppi terroristici opposti a Israele. Egitto e Ciad furono coinvolti in due conflitti dovuti alle aggressioni libiche. Attentati e dirottamenti colpirono spesso obiettivi occidentali. Il rais fondò la Legione Islamica, un gruppo paramilitare che giunse ad agire in Sudan, dove Gheddafi aveva supportato i rivoluzionari del Frolinat e dell’Arab Gathering. I legionari si unirono al Janjaweed, unità indiziata per genocidio in Darfur. Tripoli si impegnò militarmente nella Repubblica dell’Africa Centrale, in Sierra Leone, contro la Tanzania e in altri Stati africani, fornendo addestramento e sostegno a leaders come Charles Taylor, Idriss Déby, Foday Sankoh, Bokassa, Patassé, Mengistu, Blaise Compaoré, Idi Amin e Omar al-Bashir. La Libia acquistò armamenti dall’Unione Sovietica e appoggiò le Farc colombiane, i gruppi ribelli filippini e l’Ira. Negli ultimi anni, i guerriglieri libici raggiunsero Iraq e Afghanistan per attaccare i contingenti della Nato impegnati nei due fronti asiatici. Gheddafi, alleatosi a Milosevic e a Chavez, era posto al vertice della struttura terroristica, affiancato dalla gang di assassini e di delinquenti formata dal suo entourage, secondo le testimonianze fornite dagli stessi libici. L’esistenza indiscutibile di armamenti non convenzionali in Libia, nonostante la sottoscrizione dei principali trattati che proibiscono la loro diffusione, ribadisce, a maggior ragione, l’illiceità della condotta di un regime che mostra la produzione di armi tra i comparti dell’industria nazionale. Esercito, marina e aviazione sono intervenuti gravemente contro gli insorti a Bengasi nel 2011. La presenza di un sudanese al vertice dell’intelligence libica spiega l’arruolamento di mercenari neri tra le truppe di Gheddafi, che iniziò la repressione dei dissidenti negli anni ’70. Gli assassini degli oppositori non si fermarono: tra il 1980 e il 1987 furono registrate decine di morti, in Libia e all’estero, tra cui quella di Yvonne Fletcher, un’agente inglese, colpita dagli spari provenienti dalla rappresentanza diplomatica londinese del Governo libico durante una dimostrazione dei ribelli. Nel 1996, il regime ordinò il massacro di oltre 1.000 individui, imprigionati nel carcere di Abu Salim. A Bengasi, esiste un labirinto di bunkers, prigioni e casematte, utilizzato dal Governo per stipare nel sottosuolo i contestatori arrestati. L’esistenza delle stanze è stata svelata solo dopo l’occupazione definitiva del centro urbano da parte dei rivoluzionari. La residenza di Gheddafi, nota con il nome di Katiba El Fadil bu Omar, alloggiava due celle. L’esterno delle prigioni era posto al riparo di una cerchia di muri. Un cancello sradicato permetteva l’ingresso nell’area. Buche nell’argilla e sassi smossi contraddistinguono la parte iniziale del cortile. Due garitte rotonde indicano tuttora gli ingressi delle stanze poste sotto la superficie. Ogni finestra è sbarrata da grate d’acciaio. La prima cella è costituita da una camera unica. Il soffitto è supportato da due colonne. I mattoni divelti delle pareti, rovinate da scritte in arabo, sono abbandonati sul pavimento. Un’uscita laterale è stata scardinata e aperta. Il secondo braccio era destinato ai condannati a sanzioni più gravi. L’interno della stanza adesso è buio. C’è una grata da cui entra una scarseggiante luce. Le altre fenditure sono chiuse. La vista impiega alcuni minuti per abituarsi all’oscurità. Sotto le sbarre di una finestra si nota, faticosamente, nel buio, una strisciata rossa, color sangue. L’atmosfera puzza indubbiamente di morte. Altre macchie sanguigne tappezzano il passaggio delle scale d’ingresso. Le carceri di Gheddafi a Bengasi accolsero esecuzioni e torture dei condannati. I libici stessi denunciano ancora le impiccagioni e gli strangolamenti ordinati dalla linea oltranzista del regime, identici agli atti delinquenziali che la dittatura di Ahmadinejad conduce in Iran.

Film: Le carceri nel sottosuolo di Bengasi


Alessandro Ceresa ©

05/07/2011