Bontate e Berlusconi

Milano. Berlusconi vide Stefano Bontate, Tanino Cinà, Mimmo Teresi, Francesco Di Carlo e Dell’Utri in un ufficio posto in Via Larga, verso la metà degli anni ‘70. Il magnate di Arcore stava ampliando il proprio business, nato dalle società finanziate tramite la Banca Rasini, un istituto di credito con clienti come Riina, Provenzano e Pippo Calò, utilizzato dalla mafia per riciclare ingenti capitali derivanti dallo smercio di eroina e di altre droghe, che stavano invadendo i centri urbani italiani. <<Era stato inviato, presso Berlusconi, Vittorio Mangano, allora appartenente al mandamento di Stefano Bontate. Per qualsiasi contatto con lo stesso Berlusconi, saremmo dovuti passare attraverso Mangano. Ricordo adesso, in sede di verbalizzazione riassuntiva, che Berlusconi, al termine dell’incontro, disse testualmente che “era a nostra disposizione per qualsiasi cosa”. La stessa cosa gli confermò, per la sua parte, Stefano Bontate...>>. La testimonianza fornita da Di Carlo risulta dai verbali del procedimento per concorso esterno in associazione mafiosa contro Dell’Utri. Lo scandalo della pizza connection, che coinvolse mafiosi come Tano Badalamenti e suo nipote Pietro Alfano, esplose dopo pochi anni. Berlusconi sfruttò le connessioni con Craxi e Gelli, sviluppando la propria azienda in diversi settori e permettendo a Cosa Nostra di entrare in altri ambienti economici di Milano. Grazie ai finanziamenti della Rasini, le televisioni e gli altri mezzi giornalistici della Fininvest iniziarono a trasmettere i propri programmi in tutta Italia, proponendo, negli anni, dei servizi deviati. La Rai, d’altronde, dimostra una quantità di mafiosi notevole tra i propri dipendenti. Le 34 società holding che controllarono il gruppo Fininvest usufruirono, tra il 1978 e il 1985, di 113 miliardi di lire. La Procura di Palermo affermò che si trattava di capitali investiti da sodalizi mafiosi connessi a Bontate. Lo scambio di voti politico-mafioso con la criminalità, il varo del progetto del ponte sullo Stretto di Messina e la destinazione di ingenti finanziamenti alla mafia siciliana non sono incidentali, come i provvedimenti legislativi a vantaggio della delinquenza. Bontate restò al vertice della Commissione di Cosa Nostra dal 1970 al 1981, affiancato da Badalamenti, Calò, Leggio, Riina, Inzerillo, Madonia, Geraci, Greco e Pizzuto. Di Carlo fu arrestato e iniziò a collaborare con la giustizia, rilasciando altre informazioni, riportate dai verbali: <<nell’aprile del 1980, ero andato a Londra per il matrimonio di Jimmy Fauci ed erano presenti Dell’Utri, Mimmo Teresi, Tanino Cinà, Lillo Adamo e tale Molfettini. Teresi fece presente a Dell’Utri che io ero allora latitante e Dell’Utri, saputo ciò, mi diede i suoi numeri telefonici di Milano (quello di casa e quello dell’ufficio), che annotai in maniera criptica. Teresi mi disse che lui e Bontate avevano intenzione di combinare (aggregare come uomo d’onore) Dell’Utri, in quanto era ritenuto affidabile>>. Tramite Bontate, Berlusconi disponeva quindi di un contatto diretto con la Cupola, la Commissione Interprovinciale che governa la mafia. Nei pressi della prigione di Opera, dove Riina sta scontando le condanne all’ergastolo, si sente dire che i siciliani ritenevano lo stesso Berlusconi un uomo di Cosa Nostra a Milano, come confermò Antonino Giuffrè, pentito in contatto con Michele Greco e con Bernardo Provenzano. Descrivendo l’organigramma mafioso all’epoca della propria affiliazione, specificando i ruoli ricoperti ed accertati durante i procedimenti penali, indicando molti uomini d’onore (Intile, i fratelli Stanfa, i Liberto, i Guzzino), Giuffrè rilasciò deposizioni scomode persino per Dell’Utri. Greco rimase a capo della Commissione Provinciale della mafia fino al 1981, quando il vertice dell’organizzazione passò ai corleonesi di Riina, e visse per un lungo periodo nel mandamento dello stesso Giuffrè, dove fu arrestato verso la metà degli anni ottanta. Così come Brusca fu destinatario dei “pizzini” di Provenzano, Giuffrè amministrò i rapporti con Riina e con lo stesso Provenzano, che aveva conosciuto in una delle riunioni tra boss mafiosi e ne descrisse la latitanza. Instauratosi al vertice del mandamento dal 1987 al 1992, Giuffrè partecipò agli incontri della Commissione Provinciale, entrando in contatto con gli esponenti palermitani, tra i quali La Barbera e Ganci. La sua attendibilità deve pertanto ritenersi fuori discussione. Riina si interessò a Berlusconi, considerato un soggetto da coltivare nella speranza di poter raggiungere Craxi. Giuffrè spiegò le connessioni nell’ambito della testimonianza al procedimento contro Dell’Utri: <<Signor Procuratore, che noi fossimo alla ricerca di nuovi politici, mi sembra di averlo già detto. Nel 1987, abbiamo dato i nostri voti al Partito Socialista. Appositamente, da quel minuto, da quel momento in poi, c’è una ricerca di…un punto di riferimento politico solido ed affidabile e questa ricerca, questo lavoro, si protrarrà nel tempo, fino al 1993>>. Il collaborante rientrò in contatto con Provenzano, apprendendo <<l’evoluzione delle cose politiche>>, visto l’arresto di Riina e le due linee di pensiero formatesi nella criminalità. Il gruppo facente capo a Bagarella, Brusca, Graviano, Biondino e altri, <<che di pacifista non aveva un bel niente>>, era rivolto alla costituzione di un partito chiamato Sicilia Libera, direttamente portato avanti da “Cosa Nostra”. Provenzano, Spera, Aglieri, Greco e Ganci miravano a contattare movimenti politici più grandi. Impostasi la linea di Provenzano, un altro pentito, Tullio Cannella, rivelò come lo stesso Bagarella gli disse che <<loro si stavano appoggiando... a Forza Italia e avevano dei candidati, amici di alcuni esponenti di Cosa Nostra. Ciascun candidato aveva realizzato una sorta di patto elettorale, una sorta di impegno... Calvaruso mi disse: “Giovanni Brusca…mi porta in questi posti, per riunioni. Escono tutto il giorno volantini a tappeto di Forza Italia”>>. La differenza tra <<i miliardi di Pippo Calò>> e <<un milione di posti di lavoro>> diventò minima. Berlusconi entrò in politica. Giuffrè ribadì come, <<verso la fine del 1993, ...si cominciava a parlare della discesa in campo di un personaggio molto importante... Intendo riferirmi al nome… di Berlusconi… Queste notizie venivano portate all’interno di Cosa Nostra… Inizia, appositamente, un lungo periodo di discussione… e, oltre che di discussione, di indagine, per vedere se c'era un discorso serio... e in modo particolare, per poter curare quei mali che avevano afflitto Cosa Nostra>>. C’è da domandarsi quali siano i capimafia più influenti d’Italia. Giuffrè spiegò la decisione: <<per la prima volta, Provenzano esce allo scoperto, assumendosi in prima persona delle responsabilità ben precise. Nel momento in cui lui ci fornisce queste informazioni e queste sicurezze, ci mettiamo in cammino, per portare avanti… il discorso di Forza Italia>>, che aveva fornito “garanzie” opportune. Il boss corleonese decise quindi di “sponsorizzare” il partito, convincendo anche la fazione connessa a Bagarella, che riuscì a vantare degli “agganci” con il movimento politico. Il ruolo di tramite tra gli esponenti della criminalità e Berlusconi fu svolto anche da Ienna, Mangano e Dell’Utri, <<persona seria, affidabile e “vicina a Cosa Nostra”>>, che poteva fornire i propri voti allo stesso ideatore di Forza Italia, in cambio di opportuni provvedimenti politici. Vittorio Mangano diventò capomandamento di Porta Nuova, entrò in contatto con Brusca e Bagarella, facendosi relatore dell’istanza della mafia contro la pressione esercitata dallo Stato e dalla magistratura, grazie al raggiungimento dei massimi vertici della politica nazionale. 
 
Film: La Banca Rasini


02/08/2010