Riina sta scontando le condanne all’ergastolo nella prigione di Opera. Nato nel 1930 a Corleone, in Sicilia, il capo dei capi di Cosa Nostra giunse al vertice della Commissione Interprovinciale della mafia all’inizio degli anni ‘80 e vi rimase fino al 1993. La sua leadership registrò oltre 1.000 assassini, dovuti soprattutto alla guerra di mafia che oppose due fazioni opposte: Palermo e il centro urbano dell’omonima Provincia. Tra i killer arruolati nella squadra della morte dei Corelonesi vi furono Galatolo, Madonia, Anzelmo, Ganci, Prestifilippo, Lucchese Miccichè, Leoluca Bagarella (autore di oltre 100 assassini) e Pino Greco (responsabile di 60 morti). Le ambizioni economiche di ricchezza derivanti da droga, “pizzi” e appalti, unite alla povertà, condussero i Corleonesi di Riina, Leggio, Bagarella e Provenzano e i loro alleati palermitani (Madonia, Brusca, Geraci, La Barbera, Greco, Calò) ad imporre la propria egemonia, eliminando ed escludendo sistematicamente esponenti della vecchia mafia cittadina (riconducibili alle famiglie Inzerillo, Bontate, Mannino, Contorno, Badalamenti, Buscetta,…) e rappresentanti dello Stato (Borsellino, Falcone, Dalla Chiesa e le mogli,…), nell’ambito della nota “strategia stragista”. I Corleonesi si accaparrarono ingenti profitti. Riina istituì il proprio ruolo di comando uccidendo gli avversari, personalmente o tramite mandatari. A partire dagli anni ’50, la Cupola e i latitanti mafiosi iniziarono a riunirsi in covi, come Boiocchi, il Grand Hotel Des Palmes di Palermo o la “città sotterranea” del Fondo Favarella, posta sotto un possedimento di Michele Greco, che potrebbe essere tuttora utilizzata per ospitare i latitanti che dispongono delle chiavi per entrare. Nella zona, si notano oggi le proprietà della famiglia Gambino. La Commissione Provinciale di Palermo affermò la propria rilevanza nell’ambito dell’organigramma regionale. Buscetta diventò il primo grande pentito della mafia. Il “papello” di indirizzi esecutivi predisposto da Cosa Nostra delineò ai cardini dello Stato le azioni da intraprendere, a livello politico, per indebolire sia la magistratura, sia l’ordinamento legislativo, a vantaggio della criminalità. Fu lo stesso Riina a incaricare Giovanni Brusca di uccidere Falcone. Brusca, il “bombarolo” di Cosa Nostra, azionò il comando del detonatore che causò l’esplosione di 500 chili di tritolo e che comportò la morte di Giovanni Falcone. La deflagrazione squarciò la strada. Riina fu arrestato nel 1993, a Palermo, davanti all’abitazione che possedeva in Via Bernini 54 e fu sostituito da Provenzano al vertice della Commissione Interprovinciale. La Cupola decise di appoggiare una nuova formazione politica, Forza Italia, a cui appartenevano esponenti della Fininvest e Dell’Utri. Nel carcere di Opera, un sobborgo alla periferia di Milano, posto a fianco di campi da tennis, di immobili suburbani e di zone industriali, Riina nota sicuramente, adesso, la condotta del Governo Berlusconi. Riina sapeva che il businessman di Arcore era connesso a Calò e a Bontate. Sapeva, in altri termini, che Cosa Nostra, a Milano, poteva contare sul supporto di un imprenditore (lo stesso Berlusconi), proprietario di quotidiani, aziende edili e televisioni, che aveva ricevuto finanziamenti provenienti dalla Banca Rasini, presso cui la mafia siciliana riciclava i propri soldi. Sapeva che Berlusconi e Dell’Utri potevano essere considerati connessi a Cosa Nostra e apprezza adesso l’azione del magnate televisivo, di Alfano e di Dell’Utri stesso contro la magistratura, che ribadisce la sua strategia, antitetica all’ordinamento legislativo. Antonino Giuffrè chiarì gli elementi propri della connessione tra Berlusconi e Cosa Nostra: <<sapevamo di Mangano, che era alle dipendenze di Berlusconi. C’era un certo contatto tra Cosa Nostra e Berlusconi, grazie alla persona che aveva direttamente in casa. Poi vi erano altre persone, nei punti chiave della sua amministrazione… Filippo Graviano e Giuseppe Graviano, insieme all’imprenditore Gianni Ienna, facevano da tramite fra Cosa Nostra e Berlusconi>>. Secondo Giuffrè, Cosa Nostra pensò di <<alleviare quella pressione che veniva esercitata dalle forze dell’ordine e dai magistrati>> votando per Forza Italia e per il Pdl, i cui esponenti politici in Parlamento iniziarono a tutelare interessi mafiosi, in contrasto con un altro cardine dell’ordinamento statale. Altre fonti sostengono che Mangano partecipò ad una riunione della Cupola alla Favarella. Nei verbali di interrogatorio, Giuffrè dichiarò che <<per non commettere l’errore del passato, occorreva scegliere dei referenti che portassero avanti con determinazione la risoluzione dei problemi che affliggevano Cosa Nostra da ormai lungo tempo… Provenzano era interessato all’alleggerimento della pressione della magistratura… Berlusconi era conosciuto come imprenditore e per le sue emittenti. C’erano state altre occasioni in cui le dinamiche di Cosa Nostra o le attività dell’organizzazione si erano incrociate con quella imprenditoriale di questo soggetto. Bontate e altre persone, di tanto in tanto, si incontravano con Berlusconi, con la scusa di andare a trovare lo stesso Mangano…>>. Secondo Giuffrè, Marcello Dell’Utri <<costituiva un canale tramite il quale Cosa Nostra aveva acquisito delle garanzie politiche per il futuro dell’organizzazione mafiosa... Vi sono state due fasi. Quella dell’acquisizione delle ‘garanzie’ e quella della ricerca dei referenti ‘giusti’ sul territorio>>. Tutti i politici siciliani sono ancora nominati secondo un preciso organigramma, stabilito dalla mafia, nell’ambito del quale operano, così come avviene spesso nel resto d’Italia. I D’Alì sono tuttora un gruppo influente. <<Nel 1993 -, chiarì il collaboratore -, appresi all’interno di Cosa Nostra di una forza politica nuova e si parlava di persone del gruppo Fininvest che si stavano interessando per la costituzione di questo partito…>>. Capimandamento, capiclan e individui a loro strettamente connessi furono scelti per rappresentare il partito di Berlusconi. Paolo Borsellino affermò che Mangano era un <<uomo d’onore della famiglia di Pippo Calò, personaggio a capo della famiglia di Porta Nuova, famiglia della quale originariamente faceva parte lo stesso Buscetta. Si accertò … che Vittorio Mangano risiedeva abitualmente a Milano, città da dove, come risultò da numerose intercettazioni telefoniche, costituiva un terminale dei traffici di droga che conducevano le famiglie palermitane>>. Calò: il padrino. La condanna di Mangano chiarì, come disse Borsellino, la <<vicenda che riguarderebbe i suoi rapporti con Berlusconi>>. Il magistrato palermitano spiegò le relazioni: <<è normale il fatto che chi è titolare di grosse quantità di denaro cerchi gli strumenti per poterle impiegare, sia dal punto di vista del riciclaggio, sia per far fruttare questo denaro. Naturalmente, questa esigenza, questa necessità, alla quale l’organizzazione criminale, a un certo punto della sua storia, si è trovata di fronte, è stata portata a una naturale ricerca degli strumenti industriali e degli strumenti commerciali, per trovare uno sbocco a questi capitali. Quindi, non meraviglia affatto che, a un certo punto della propria storia, Cosa Nostra si sia trovata in contatto con questi ambienti>>. La certezza stragiudiziale dell’inaffidabilità dei politici connessi alla mafia diventò lampante e assume tuttora una valenza che trascende i giudizi procedimentali. Berlusconi è arrivato al vertice delle istituzioni statali. La strage di Via d’Amelio sancì la morte di Borsellino. Le auto parcheggiate e le abitazioni dell’isolato furono distrutte dallo scoppio di 100 chili di tritolo, fuoriuscito da uno scavo di Camporeale. Cosa Nostra riusciva quindi a procurarsi esplosivi tramite ditte impegnate in lavori edili o estrattivi. Vi fu un coordinamento, verosimilmente, tra i commandos che causarono la morte di Falcone e di Borsellino. I loro cadaveri restano a testimonianza di un capitolo della storia italiana. Riina fu condannato in veste di mandante. Dal lussuoso carcere di Opera, il capo dei capi riesce tuttora a spedire veri e propri ordini, direttamente, grazie ai contatti con i familiari e con la moglie, Antonietta Bagarella, o indirettamente, tramite dei sottoposti. Nella stessa zona, sono stati registrati degli incidenti stradali e si notano cartelli divelti. Si sente dire che negli appartamenti degli isolati adiacenti vi sono degli affittuari siciliani, esponenti di mandamenti mafiosi. Il cognome Riina è indicato dagli elenchi di pronto.it in Provincia di Palermo (a Corleone, Palermo, Partinico, Carini, Monreale, Balestrate), in Piemonte e in Emilia Romagna, così come sono indicati parenti di Messina Denaro a Castelvetrano, soprattutto, a Trapani e a Corigliano Calabro. I rami familiari degli altri principali latitanti e delle relative mogli possono essere individuati altrettanto facilmente. Il maxi-procedimento contro la mafia sancì le condanne nei confronti dei principali mafiosi.
29/06/2010