Berlusconi e Pippo Calò: mister x

È Pippo Calò l'individuo che si cela dietro le connessioni mafiose di Berlusconi, che permisero al magnate di Arcore di iniziare il proprio business grazie a capitali di provenienza sconosciuta. La relazione tra i due esponenti, tra il cassiere di Cosa Nostra e uno speculatore, chiarisce molti fatti che contraddistinsero e che indirizzano tuttora la condotta di Berlusconi, negli affari e in politica, dimostrando i rapporti del businessman con la mafia. L’odierno premier, all’inizio della propria carriera economica, fu finanziato dalla Banca Rasini, un istituto di credito fondato a Milano negli anni ’50, dove suo padre, Luigi Berlusconi, lavorò come impiegato e come procuratore con diritto di firma, arrivando a coprire posizioni direttive. La Banca Rasini, però, vantava tra i propri clienti Giuseppe Calò, Salvatore Riina e Bernardo Provenzano e diventò un centro per il riciclaggio del denaro della mafia, così come indicato dalle indagini della polizia di Milano svolte nel 1983. I miliardi richiesti per far partire le attività economiche delle prime società di Berlusconi confluirono attraverso i conti della stessa banca e di altri istituti finanziari. La Edilnord Sas si procurò fondi tramite una società svizzera domiciliata a Lugano e i soldi della mafia finirono nelle casse del premier. Rapidamente, Berlusconi riuscì a disporre di 3 miliardi per l’acquisto degli appezzamenti di Milano 2, di altri 2 miliardi per aumentare il capitale della Edilnord Sas, di 2 miliardi per il capitale della San Martino SpA, gestita da Marcello Dell’Utri, di 18 miliardi per la Finanziaria d’Investimento Srl (Fininvest), amministrata da Umberto Previti, di 2 miliardi per la Fininvest SpA, di 1 miliardo per la Cantieri Riuniti Milanesi SpA, di 900 milioni per l’Immobiliare Idra. Tra il 1978 e il 1983, la Rasini convogliò 113 miliardi destinati alla Fininvest. Luigi Berlusconi, che probabilmente svolse un ruolo rilevante nelle attività di finanziamento e di avviamento delle aziende del futuro businessman, firmò l’acquisizione di una quota di una società legata alla Cisalpina Overseas Nassau Bank, nel cui Consiglio di Amministrazione comparivano Gelli, Sindona, Calvi e Marcinkus. Le connessioni di Sivio Berlusconi erano quindi pronte a farne decollare l’impero economico. In pochi anni, il magnate di Arcore espanse la propria attività nei settori edile, televisivo, commerciale, sportivo, finanziario, editoriale. Nel 1973, il premier comprò la Villa Casati Stampa, offrendo alla figlia orfana dei proprietari le azioni di una delle sue società. Il raggiro fu svolto grazie all’intervento di Cesare Previti, tutore della giovane. Le azioni furono riacquistate da Berlusconi per un prezzo pari alla metà del valore iniziale. Nello stesso periodo, Berlusconi era stato affiancato da un altro palermitano, Marcello Dell’Utri, suo compagno d’università, a cui affidò diversi ruoli, fino alla direzione di Publitalia ’80. Le connessioni di Dell’Utri con la mafia sono note e hanno motivato la condanna in primo grado. Tra i suoi contatti, vi erano Gaetano Cinà e Vittorio Mangano, Girolamo Teresi, Ignazio Pullarà, Salvatore Riina, Antonino Calderone, Rapisarda, Prestigiacomo, Ganci, Ciancimino, Jimmy Fauci, Gaetano Corallo e Vincenzo Virga. Dell’Utri presentò al premier mafiosi del calibro di Stefano Bontate e Francesco Di Carlo, presso la sede della Edilnord, in via Foro Bonaparte, a Milano. Silvio Berlusconi, Marcello Dell'Utri, Nino Grado, Stefano Bontate, Mimmo Teresi e Gaetano Cinà parlarono di edilizia e della costruzione di Milano 2, contrattando una vicendevole disponibilità. Il boss Bontate diventò socio delle Tv Fininvest, impegnandovi grossi capitali mafiosi. Secondo Massimo Ciancimino, Dell’Utri conobbe e vide Bernardo Provenzano. Anche Giuseppe (Pippo) Calò nacque a Palermo nel 1931, diventò capomandamento di Porta Nuova e riuscì a salire la gerarchia della struttura mafiosa fino ad entrare nella Cupola, la Commissione Interprovinciale, con Riina e Provenzano, appoggiando il primo nella guerra di Cosa Nostra che si svolse negli anni ’80. Tommaso Buscetta era inquadrato tra gli uomini di Calò, il cui impegno nel riciclaggio lo portò ad essere designato il “cassiere della mafia”. La cospicua disponibilità finanziaria condusse quindi Calò a finanziare Berlusconi tramite la Banca Rasini, tramite altri intermediari e tramite altri fondi, versati attraverso società residenti in Svizzera, in contanti o con giroconti bancari. Berlusconi registrò presso la Banca Rasini ventitré società holding. A Milano, nel 1978, nacque una società denominata Par.Ma.Fid, che amministrò tutti i beni di Antonio Virgilio, finanziere di Cosa Nostra e riciclatore di capitali per conto dei clan di Giuseppe e Alfredo Bono, Salvatore Enea, Gaetano Fidanzati, Gaetano Carollo, Carmelo Gaeta e altri boss di area corleonese e non, operanti nel traffico di stupefacenti a livello mondiale. Importanti quote delle ventitré holding furono acquistate dalla Par.Ma.Fid, che gestì così una grande fetta del Gruppo Fininvest, incassando i relativi dividendi. I tre finanzieri che svolsero le indagini, condotte da Massimo Berruti, si dimisero, dando origine ad un procedimento per tangenti, conclusosi con la loro condanna. La Banca Rasini fu inglobata dalla Popolare di Lodi nel 1992 e i suoi archivi furono acquisiti nell’ambito delle indagini della Procura di Palermo nel 1998. Nel 1983, la proprietà della Rasini fu acquisita da Nino Rovelli, capitalista al centro della vicenda Pecorelli per l’assegno da 2 miliardi che diede ad Andreotti, le cui connessioni mafiose e politiche, in Sicilia, ovviamente, non si limitarono a Salvo Lima. Esiste una compagnia di assicurazioni, la Rasini Viganò, che vanta tra i propri clienti gruppi come Pirelli e Fininvest e trae profitti dalle polizze relative, rispettivamente, a immobili e impianti televisivi. La Rasini & C. Limited è tuttora un intermediario finanziario che opera a Londra, New York e Lugano. Gli immobili di Milano 2 e altri edifici costruiti dalla Edilnord furono acquistati anche da società riconducibili a Cosa Nostra e da esponenti mafiosi, che continuarono, quindi, a finanziare il magnate di Arcore. Parlando di Berlusconi, Buscetta disse <<dietro questo arricchimento, questo grande patrimonio, c’era un arricchimento sospetto, probabilmente, legato a rapporti di mafia>>, sostenendo, inoltre: <<Berlusconi avvicina un palermitano, un siciliano, Marcello Dell’Utri. Quindi il patrimonio di Fininvest è un patrimonio mafioso>>. Fra il 1984 e il 1986, Dell'Utri raggiunse un accordo, tramite Cinà, con Pippo Di Napoli, che rappresentava Riina, attraverso il quale la Fininvest si impegnò a versare a titolo di regalo una quota annua di 100.000 euro. Si trattava di pagamenti regolari di ingenti somme di denaro, versate sui conti di Cosa Nostra. In Sicilia, Berlusconi entrò in contatto commerciale con il clan Inzaranto, connesso a Buscetta, a Calò e ad Azzaretto, un uomo di fiducia di Andreotti, che diventò socio fondatore e amministratore della Banca Rasini. Marino Mannoia raccontò che <<Gelli faceva investimenti per conto di Calò, Riina, Madonia e altri dello schieramento corleonese. Sindona faceva investimenti finanziari per conto di Bontate e Inzerillo>>. I contatti tra Calò e Gelli furono quindi svelati, confermando le connessioni rilevanti e ribadite tra il piduista Berlusconi e lo stesso Calò, oltre ai finanziamenti ritirati tramite la Banca Rasini. Il ruolo di Gelli si dimostrò incisivo e l’attività della sua loggia agevolò l’espansione di Berlusconi. Sindona confermò che la Rasini era destinata a riciclare soldi per conto della mafia, come il Banco di Sicilia. Un altro mafioso pentito, Gaspare Mutolo, aggiunse: <<A Sindona erano state affidate ingenti somme di denaro da parte dei principali esponenti di Cosa Nostra: Pippo Calò, Stefano Bontate, Salvatore Inzerillo, Totò Riina>>. Roberto Calvi, coinvolto nel crack dell'Ambrosiano, fu impiccato a Londra nel 1982. Secondo i magistrati, fu ucciso dalla mafia, siccome si era impossessato dei soldi di Gelli e di Calò. Il Banco Ambrosiano si dimostrò il maggiore strumento nazionale di riciclaggio di denaro sporco, proveniente dalla mafia, dalla P2, dai servizi segreti deviati, dai traffici illeciti di faccendieri, dai politici. Calvi fece di tutto per espandere l'attività della banca in Sudamerica, Svizzera, Cina, Bahamas, trasferendo cifre astronomiche verso conti segreti riconducibili a Licio Gelli, Pippo Calò, Francesco Pazienza, Flavio Carboni, Umberto Ortolani. Tramite l’Ambrosiano, la P2 pagò a Bettino Craxi 7 milioni di dollari, fatti affluire nel biennio 1980-81 al conto svizzero "Protezione". Un altro mafioso inquadrato nel mandamento di Porta Nuova, il palermitano Vittorio Mangano, fu assunto ad Arcore presso l’abitazione di Berlusconi. Mangano era quindi un “uomo di Calò”. La permanenza di Mangano ad Arcore condusse il premier a ricevere altri contanti provenienti dalle casse della mafia e ad affiliarsi a Cosa Nostra con il consueto rito di sangue. Si sente dire che accaddero “cose strane” nello stesso periodo e negli anni seguenti, tra cui l’entrata clandestina di mafiosi, probabilmente “uomini di Mangano”, nelle ville di Berlusconi, ad Arcore e in Sardegna, di notte. Si registrarono dei contatti tra il mafioso siciliano e la Banda della Magliana, cosca egemone a Roma, responsabile dell’omicidio Pecorelli. Anche Bontate, Sindona e Calvi furono uccisi. Mangano morì come un coniglio, in gabbia, condannato per mafia e per omicidio. Oltre alle connessioni mafiose, che lo condussero a sfruttare persino la società finanziaria Fimo di Lugano, nota per il riciclaggio, Berlusconi guadagnò ancora opportunità di crescita economica per i propri affari grazie all’appartenenza alla loggia Propaganda 2 di Gelli, di cui aveva sottoscritto la tessera n. 1816, riportante la dizione “apprendista muratore”. Nell’elenco dei “piduisti”, vi era Fabrizio Cicchitto e tra le domande di affiliazione compariva anche quella di Antonio Martino. Il magnate di Arcore usò numerosi contatti politici per ampliare il proprio business. Bettino Craxi, uno dei politici più disonesti della Prima Repubblica, gli fornì il proprio sostegno, lautamente ricompensato da tangenti, che affluirono sui conti dello stesso Craxi e del Psi. L’amicizia di Craxi permise a Berlusconi di contattare altri politici, tra cui Tognoli, Pillitteri e Borghini e di approfittare della loro amministrazione (per l’acquisto di terreni agricoli a basso prezzo, ad esempio, come quelli di Assago, diventati terreni edili grazie all’intervento di Pillitteri,…). Berlusconi continuò a gestire i propri affari in modo spregiudicato. Provenzano fu arrestato nel 2006. L’iniziativa politica del premier, ideata da Craxi, è contestabile e condusse, indubbiamente, ad uno sbaglio storico, causato dal voto degli italiani a Forza Italia. Il sodalizio mafioso con i siciliani e i voti della mafia permettono adesso al premier di governare in modo inaccettabile, proponendo programmi a vantaggio della criminalità. Lo scambio di voti politico-mafioso è ovvio e comporta il progetto del ponte sullo Stretto di Messina, gli attacchi alla magistratura e le proposte legislative volte a limitare l’azione della giustizia. Ovviamente, Berlusconi non è l’obiettivo di nessuna persecuzione giudiziaria, come i giornalisti “venduti” che lavorano per lui vorrebbero far pensare, da anni, nell’ambito dei servizi deviati e mafiosi offerti dalla Fininvest tramite tv, quotidiani, radio e riviste. Le indagini a carico di Berlusconi non furono e non sono altro se non la legittima conclusione della condotta disonesta con cui il magnate di Arcore ampliò e diffuse il proprio business. La giustizia è intoccabile. Il premier fu indagato, con diversi esiti giudiziari, per corruzione (Lodo Mondadori, Saccà), finanziamento illecito ai partiti (Psi, All Iberian 1), falso in bilancio (affare Lentini, acquisto degli appezzamenti di Macherio, All Iberian 2, Medusa, Sme-Ariosto 2), falsa testimonianza (P2), corruzione giudiziaria (Sme, Sme-Ariosto 1), frode fiscale, concorso in associazione mafiosa e riciclaggio (Dell’Utri), abuso d’ufficio, corruzione dell’avvocato Mills, riciclaggio e corruzione in atti giudiziari (compravendita diritti tv), diffamazione aggravata, tangenti alla Guardia di Finanza. Chi era “quel signore” che finanziò l’inizio dell’attività di Berlusconi? Chi era “mister x”? Pippo Calò, il cassiere di Cosa Nostra, classe 1931, condannato al carcere a vita. Si sente dire che Riina, imprigionato a Opera, confermi l’informazione secondo cui Calò finanziò Berlusconi…


21/01/2010