Nato nel 1962 a Castelvetrano, Matteo Messina Denaro è il latitante più ricercato d’Italia, visto il ruolo ricoperto al vertice della Commissione Interprovinciale. Messina Denaro, responsabile della Provincia di Trapani e capomandamento di Castelvetrano, è stato scelto dai clan siciliani all’apice della struttura mafiosa di Cosa Nostra, con l’obiettivo di appoggiare il varo del progetto del ponte sullo Stretto di Messina, grazie al sostegno politico del Pdl, di Dell’Utri e di Berlusconi. Denaro, d’altronde, visse e lavorò per anni nelle proprietà latifondiste della famiglia di un senatore trapanese del Pdl, Antonio D’Alì, nato nel 1951, già sottosegretario nel Governo Berlusconi III. È quindi confermato il sodalizio mafioso tra Berlusconi e Cosa Nostra. L’anziano Antonio D’Alì, classe 1919, proprietario e amministratore della Banca Sicula, fu coinvolto nel 1983 nello scandalo della P2 di Gelli e Berlusconi. I rapporti tra D’Alì, Messina Denaro e Riina furono svelati da un pentito, Francesco Geraci, che acquistò da D’Alì la proprietà di un appezzamento, da regalare a Riina, firmando l’atto di compravendita, secondo le direttive dello stesso D’Alì, ottenendo il rimborso del prezzo d’acquisto (300 milioni) dalla Banca Sicula, dove lavorò come impiegato Salvatore Messina Denaro, fratello di Matteo. I rapporti tra le famiglie D’Alì e Messina Denaro erano quindi ottimi e furono confermati anche i contatti tra gli stessi D’Alì e l’esponente dell’Udc Francesco Campanella, un mafioso arrestato e pentitosi. La tenuta di Contrada Zangara, posta nel comune di Castelvetrano, fu confiscata a Riina dopo l’imprigionamento. Geraci nascose per anni nel proprio negozio il covo di Matteo Messina Denaro. Secondo un altro mafioso, D’Alì poteva contare sul supporto dei voti forniti da Vincenzo Virga, capomandamento di Trapani, iscritto alla loggia massonica deviata Iside 2. Le indagini in merito alle connessioni tra mafia e politica evidenziarono che Virga e Matteo Messina Denaro decisero di votare per Forza Italia, confermando la linea adottata da Provenzano. Il fratello di Antonio D’Alì, Pietro, fornì a Matteo Messina Denaro un’indennità di disoccupazione dell’Inps di 4 milioni nel 1991. La Banca Sicula di D’Alì, inoltre, era stata al centro di un’indagine della polizia per un’ipotesi di riciclaggio. Le fortune di Messina Denaro, simmetricamente, non provenivano solo dagli introiti derivanti di alcune cave di sabbia e dalle estorsioni, ma erano accresciute dal traffico di droga che i suoi compari, i narcos del clan Cuntrera e Caruana, dirigevano in campo internazionale. L’inserimento nelle liste politiche di Antonio D’Alì fornisce un elemento in più per confermare le connessioni mafiose di Berlusconi e Dell’Utri. Matteo Messina Denaro è descritto spesso come un appassionato della bella vita e delle auto di lusso, che utilizza orologi e vestiti firmati. Nel 1995, ebbe una figlia da Franca Alagna, che vive nella sua casa di Castelvetrano, insieme alla nonna. Il padre di Matteo, Francesco Messina Denaro, appoggiò Riina nella corsa al vertice di Cosa Nostra, fu trovato morto a bordo di un fiume nel 1998, quando il fratello del boss fu arrestato per mafia e lasciò a Matteo la reggenza del mandamento di Castelvetrano e del mandamento provinciale di Trapani. Ovviamente, sindaci, politici e componenti delle amministrazioni locali non sono esclusi dal sistema mafioso. Messina Denaro è dunque un fedelissimo alleato di Totò Riina. I contatti tra i due sono tuttora vivi, nonostante il primo sia nel carcere di Opera. Per parlare con Provenzano, Denaro utilizzò un nome in codice, Alessio, risultante dai pizzini rinvenuti nel covo dove fu arrestato il mafioso di Corleone, che chiarivano le direttive per appalti, esponenti politici e investimenti, come l’apertura di supermercati e di distributori di benzina. La leadership mafiosa deriva dalla potenza militare e strategica di Denaro, indiziato dalla giustizia italiana per associazione mafiosa, omicidio, stragi, devastazione, detenzione e porto di materiale esplosivo, furto e altri reati minori. Si sente dire che commise il primo delitto nel 1980. Gli investigatori lo ritengono responsabile di una settantina di assassini, in veste di mandante o di esecutore. Insieme alla Cupola di Totò Riina, costituita da Bernardo Provenzano, Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca, Giuseppe Graviano e Filippo Graviano, fu coinvolto nella strategia stragista, decisa come reazione alle condanne all’ergastolo dei boss mafiosi, che culminò con gli assassini di Lima, Falcone e Borsellino e con gli attentati del 1993. Durante la stagione degli attentati di Capaci e Via D’Amelio, Riina aveva proposto una sorta di elenco di istanze a vantaggio della mafia: l’abolizione del regime del 41bis relativo all’isolamento dei boss, la revisione della normativa riguardante i collaboratori di giustizia e la revisione dei procedimenti per mafia. Ovviamente, le dichiarazioni di Dell’Utri contro l’utilizzo dei pentiti confermano le sue connessioni con Cosa Nostra, i cui attacchi alla magistratura e all’ordinamento legislativo sono ampiamente condivisi da Berlusconi e dal Pdl. Ovviamente, qualsiasi cambiamento della normativa esistente, a scapito della giustizia e a vantaggio dei delinquenti, non potrebbe che confermare le connessioni mafiose dei legislatori e potrebbe motivare un procedimento per l’evidente collusione mafiosa dei proponenti. Provenzano, che sostituì Riina al vertice della Cupola, fu arrestato nel 2006. I due mafiosi erano accomunati dall’origine corleonese, che avrebbe potuto far supporre un grado di parentela ed ebbero dei contatti con Ciancimino. Denaro è latitante dal 1993.
Film: Trapani e Castelvetrano
28/12/2009