La fine della guerra in Libia sta
spostando l’attenzione degli osservatori verso il continente africano, nonostante
la ripresa dimostrata dalle azioni integraliste in Afghanistan, a margine delle
rivolte in Siria, dello status incerto dell’Iraq e dell’instabilità registrata nella
parte più orientale dell’Asia. Le rivoluzioni della Primavera Araba hanno
infatti diffuso uno spettro di tumulti e di contrasti, che ha coinvolto Sudan e
Sud Sudan, Mali, Guinea-Bissau, Kenya, Yemen, Nigeria e altri Stati.
SUDAN E SUD SUDAN – I contrasti al confine tra il Sudan e il Sud Sudan, registrati a partire dalla fine di marzo, stanno facendo notare un’escalation, che potrà condurre a un inasprimento della guerra tra le due nazioni, o limitarsi a scarsi scontri per la designazione della frontiera che divide i relativi ambiti. La separazione tra i due Stati, decisa dal referendum che sancì l’indipendenza della frazione meridionale, è assoggettata a sistemazioni che possono apparire normali. Il Sudan di al-Bashir, nel 2011, occupò la zona di Abyei, di proprietà del Sud Sudan, bombardando altri obiettivi nelle regioni di Unity e Pariang. Gli idrocarburi costituirono il motivo della guerra, inasprita dalla presenza dell’oleodotto del Nilo. L’intervento di truppe etiopi, poste sotto l’egida delle Nazioni Unite, moderò i contrasti e ristabilì lo status previgente. L’esercito del Sud Sudan (Spla) ha reagito all’offensiva alla fine di marzo del 2012, invadendo e conquistando il centro di Heglig, nella regione sudanese del Sud Kordofan, sito di un giacimento. L’appoggio dei ribelli del Fronte Rivoluzionario Sudanese, impegnati internamente nella destabilizzazione dello Stato, ha indebolito i soldati di Khartum, costretti a ritirarsi dall’area contesa nel mese di aprile. La reazione di al-Bashir ha però comportato il bombardamento aereo di Heglig e Bentiu, aggressioni coordinate dell’esercito, il ripiegamento delle milizie dello Spla, la riconquista del confine da parte dei sudanesi, l’apertura di altri fronti, tra cui la zona del Nilo Superiore, numerosi morti e decine di feriti. Gli obiettivi distrutti e incendiati, l’oleodotto danneggiato, lo Stato di guerra, gli arresti degli occidentali e migliaia di esuli sono alcuni dei risultati degli ultimi combattimenti. Ieri, il Sud Sudan di Salva Kiir ha dispiegato migliaia di militari lungo il confine reclamato. Le Nazioni Unite stanno ospitando i profughi nei propri campi. Il sottosviluppo degli Stati dell’Africa motiva spesso la formazione di ampie sacche di rifugiati, spesso mossi da comportamenti opportunistici prodotti dai sostegni gratuiti, o allettati da sistemazioni momentanee in ambienti predisposti dall’Unhcr. Il ritardo economico di molte province è però incomprensibile, davanti all’evidenza di risorse impiegabili e di modelli di industrializzazione. Il giacimento di Heglig fornisce un’ampia porzione dei 115.000 barili di petrolio prodotti ogni giorno dal Sudan e raffigura quindi una ricchezza notevole per le ambizioni degli abitanti del Paese nemico. I gruppi separatisti esistenti in entrambi gli Stati condcucono da anni rivolte sanguinose. Lo stato di guerra ha destabilizzato varie regioni: Sud Kordofan, Nilo Azzurro, Darfur, Nilo Bianco e Sinnar (Sudan), Abyei, Unity, Pariang, Jonglei e Nilo Superiore (Sud Sudan). L’esercito di Kiir, meno attrezzato dei rivali, dispone di carroarmati, pick-ups, sistemi missilistici antiaerei e artiglieria pesante, ma dice di voler consegnare alla giustizia internazionale Omar al-Bashir, già indagato per crimini di guerra durante la repressione condotta in Darfur. Le truppe di Khartum sono più attrezzate e possono utilizzare persino dei jets, tramite l’aeroporto di El Obeid.

NIGERIA – Ieri, un’aggressione
nei confronti dei cristiani ha comportato 20 morti nell’abitato di Kano.
Esplosioni e colpi di fucile hanno colpito gli adepti di un anfiteatro
dell’università del centro urbano, posto nel nord della Nigeria. Sono stati
registrati numerosi feriti. Un commando armato, riconducibile al gruppo
sovversivo Boko Haram, ha fatto irruzione nel luogo, producendo la strage. Gli
stessi integralisti sono stati giudicati colpevoli di altri fatti identici, che
hanno comportato 185 vittime all’inizio del 2012, dovute a diversi attentati
condotti in gennaio. Nella stessa giornata di ieri, a Nairobi, lo scoppio di
una granata ha ucciso un individuo. Gli atti sediziosi sono dovuti al
coinvolgimento dell’esercito nigeriano in Somalia e alla persistenza della guerriglia.

GUINEA-BISSAU – Il colpo di Stato
realizzato durante le consultazioni presidenziali del 12 aprile 2012 in
Guinea-Bissau era indirizzato a impedire la nomina del Capo del Governo, Carlos
Gomes Junior, arrestato dai militari dell’esercito unitamente al Presidente ad
interim Pereira. I soldati hanno spiegato il motivo del golpe, teso ad evitare
limitazioni dei propri contingenti. La Guinea-Bissau è uno Stato pieno di
risorse naturali, affacciato sull’Oceano Atlantico, diventato un hub per il
traffico di narcotici tra l’America Latina e l’Europa, come altri Paesi africani, tramite le gangs di
delinquenti agenti nei maggiori centri. Ecowas ha proposto l’invio di 600 unità
e ha avvertito l’élite militare che la mancata cooperazione potrà motivare
sanzioni, domandando lo svolgimento delle votazioni entro 12 mesi.
CRIMINI DI GUERRA – Gli arresti
dei responsabili di crimini di guerra sono destinati a continuare. I leaders di
Stati dell’Africa indagati dal Tribunale Penale Internazionale sono molteplici.
Omar al-Bashir fu considerato responsabile individualmente di genocidio e di
altri reati, per la repressione condotta in Darfur dal 2003 contro gli
esponenti dei tre maggiori gruppi etnici residenti nella regione (Masalit,
Zaghawa e Fur), grazie ai soldati del governo sudanese e a milizie afro-arabe. Al-Bashir
dimostra di poter espatriare tranquillamente in numerosi Stati, nonostante il
mandato di arresto pendente sulla sua testa. Tra gli altri indagati dalla
giustizia internazionale ci sono Lubanga Dyilo, Bosco Ntaganda, Germain Katanga
e Ngudjolo Chui (per i fatti commessi in Congo), Odhiambo, Ongwen e Joseph Kony
(Uganda), Kushayb, Haroun, Banda, Jerbo e Hussein (Sudan), Bemba (Repubblica
Centraficana), Ruto, Sang, Muthaura, Kenyatta e Hussein Ali (Kenya), Kabuga, Ryandikayo,
Mpiranya, Ntaganzwa, Bizimana e Ndimbati (Ruanda). La maggior parte di loro è
tuttora in stato di latitanza. Kony, capo della Lord’s Resistance Army, ha
attratto gli interessi dell’esercito statunitense, che ha dispiegato una propria
task force tra Uganda, Sud Sudan e Repubblica Centrafricana, per arrestarlo. Dal
2008, la Lra di Kony ha ucciso migliaia di individui, nell’ambito delle
attività condotte in Uganda e in Sudan. I gruppi dei suoi miliziani operano in
ambienti selvaggi, che rendono difficile il loro annientamento. Bosco Ntaganda abita
a Goma, grazie all’impunità fornita dal Presidente Kabila. Non ci sono
scusanti, però, per la libertà di cui possono tuttora usufruire i delinquenti. Gli
arresti dei latitanti devono progredire. Condannato per i fatti registrati in
Sierra Leone, Charles Taylor potrà appellarsi alla sentenza che lo ha giudicato
colpevole di aver appoggiato e supportato i crimini di guerra realizzati dal
Fronte Unito Rivoluzionario nell’ambito di una guerriglia che comportò la morte
di decine di migliaia di abitanti, a margine delle rivolte in Liberia. Dal 1991
al 2002, la Sierra Leone testimoniò la crudeltà dei contingenti belligeranti. Assassini,
terrore, stupri e altri crimini dipinsero il teatro in cui si svolsero gli
scontri. Le mani delle vittime, mozzate dai machete, diventarono un simbolo dei
trattamenti inflitti dai ribelli, come i diamanti che gli insorti utilizzarono
per sovvenzionare i rifornimenti di armi, che Taylor riciclò, sostenendo il
Fronte Rivoluzionario fino alla fine della guerriglia.

KENYA - Agli scontri tra varie etnie si sono aggiunti, negli ultimi mesi, elementi di tensione dovuti al coinvolgimento del Kenya nell’operazione volta ad annientare Al-Shabaab in Somalia.
YEMEN – Le rivolte del 2011 sono
riuscite a produrre un cambiamento nel sistema politico dello Yemen. Visto il movimento della Primavera Araba, il
Presidente Ali Abdullah Saleh è stato costretto a farsi sostituire dal proprio
vice, Abd Rabbuh Mansur Al-Hadi, il 27 febbraio 2012. Lo Yemen resta un Paese
altamente destabilizzato. Alle ribellioni dei movimenti rivoluzionari si
sommano infatti gli atti eversivi dei separatisti e degli integralisti, spesso
riconducibili ad al-Qaida, sanzionati persino dagli interventi militari del
Pentagono. Nel 2000, la nave statunitense USS Cole fu colpita da un attentato
suicida nel porto di Aden. Gli attacchi nei confronti degli occidentali non si
placarono. Due autobombe colpirono l’ambasciata di Washington nel 2008. Durante gli
anni seguenti, l’esercito statunitense potenziò la repressione dei
fondamentalisti, grazie ad operazioni condotte dall'aviazione e da unità speciali,
giungendo ad eliminare esponenti di rilievo di al-Qaida.
30/04/2012