Nato nel 1962, Messina Denaro giunse all’apice dell’organigramma mafioso di Cosa Nostra durante gli anni ’90. Nel
2001, dopo l’arresto di Vincenzo Virga, assunse il ruolo di
capomandamento della Provincia di Trapani, che diventò un sodalizio
unito e congiunto, tale da poter rivaleggiare con i gruppi di Palermo e
di Corleone. Gli introiti finanziari di Matteo Messina Denaro derivano
da rackets diversi. I ricatti estorsivi, imposti in cambio di ipotetiche
<<protezioni>> (i cosiddetti <<pizzi>>),
colpiscono le aziende del trapanese, grazie al sostegno di un migliaio
di affiliati, divisi in oltre 20 famiglie, che permisero al capomafia di
consolidare la propria posizione, fino all’apice della Commissione
Interprovinciale. La direzione degli appalti costituisce un secondo
mezzo di finanziamento, rivolto soprattutto alla sottrazione di lavori
pubblici nel comparto estrattivo, che attrae le aziende operative
del gruppo familiare dei Messina Denaro. L’amministrazione
statale italiana distribuisce mandati e appalti solo grazie a
corruzioni. La Regione Sicilia, le Province e i Comuni sono tra i
principali finanziatori di Cosa Nostra, così come gli enti statali
campani, calabresi, pugliesi e abruzzesi pagano i sodalizi mafiosi di
Camorra, 'Ndrangheta, Sacra Corona Unita, mafia garganica e Rancitelli.
Le stesse congregazioni criminali riescono a trarre ampi profitti da
sovvenzioni e incentivi nazionali. Tutte le altre amministrazioni
supportano, parimenti, boss e mafiosi. Il traffico di droga rappresenta
un terzo business per Messina Denaro, che può vantare connessioni in
tutto il mondo, essendosi appoggiato ai Cuntrera-Caruana in Venezuela,
mantenendo rapporti con Vito Roberto Palazzolo in Sud Africa e con
esponenti della criminalità di New York, fino al punto di suscitare
l’attenzione dell’Fbi. Palazzolo, in particolare, è un mafioso italiano,
condannato per concorso esterno in associazione mafiosa,
accusato di riciclare soldi per conto di Provenzano e di Riina, entrato
in contatto con Giovanni Brusca, arrestato in Svizzera nell’ambito delle
indagini riguardanti il procedimento italo-statunitense <<Pizza
Connection>>, trapiantatosi in Sud Africa con il falso nome di
Robert Von Palace Kolbatschenko, grazie ad appoggi politici e
amministrativi che arrivarono a coinvolgere Dell’Utri. Essendo uno dei
finanzieri di Cosa Nostra, Palazzolo è passibile di estradizione in
Italia, ma il Governo sudafricano ha dimostrato di ospitare parecchi
latitanti e i businesses da lui avviati restano oscuri. La Commissione
Antimafia italiana potrebbe riaprire il fascicolo riguardante
l’estradizione dello stesso Palazzolo, i cui contatti giunsero sino al
tavolo di Berlusconi. Il gruppo dei Cuntrera-Caruana, contiguo a Cosa
Nostra, opera nell’ambito del traffico di droga e del riciclaggio ed è
attivo in Italia, in Nord America e in Venezuela, dove ha stabilito
relazioni delinquenziali che potrebbero coinvolgere persino Vito
Badalamenti. Quest'ultimo svolge i propri affari mafiosi negli Stati del
Sud America e soprattutto in Brasile: è individuato come uno dei
<<bianchi>> che vivono tra Rio de Janeiro, San Paolo e il
Nord Est, sulla costa atlantica, è posto a capo di un sodalizio di Cosa
Nostra e impiega verosmilmente delle identità altrui. Il network di
Denaro, capomandamento della Provincia di Trapani, d’altronde, dispone
anche di connessioni in Colombia e in Germania, destinate al traffico di
narcotici. In Italia, grazie al sostegno della ‘Ndrangheta, Messina
Denaro ha esteso il proprio ambito d’azione, ottenendo il supporto dei
sodalizi di Platì, Marina di Gioiosa Ionica, Siderno e Mariano Agate.
L’informazione riguardante i rapporti con Platì è ribadita a Trapani.
Altri legami sono stati riscontrati a Palermo, nel mandamento di
Brancaccio, siccome Giuseppe Graviano è cognato dello stesso Denaro, che
visse e lavorò per anni nelle proprietà latifondiste della famiglia di
un senatore trapanese del Pdl, Antonio D’Alì (Junior), nato nel 1951,
già sottosegretario del Governo Berlusconi III. Il vecchio Antonio
D’Alì, classe 1919, proprietario e amministratore della Banca Sicula,
fu coinvolto nel 1983 nello scandalo della loggia P2 di
Gelli e di Berlusconi. Dell'Utri giunse a finanziare Letizia Moratti in
cambio di incarichi. La vendita di biglietti per le partite dell’Inter è uno dei metodi usati dalla famiglia Moratti per raccogliere tangenti. I
rapporti tra D’Alì, Messina Denaro e Riina furono svelati da un
pentito, Francesco Geraci, che acquistò da D’Alì la proprietà di un
appezzamento da regalare a Riina, firmando l’atto di compravendita.
Secondo le direttive dello stesso D’Alì, Geraci riscosse il rimborso del
prezzo d’acquisto (300 milioni) dalla Banca Sicula, dove lavorò come
impiegato Salvatore Messina Denaro, fratello di Matteo. L’appezzamento,
posto in Contrada Zangara, fu confiscato a Riina dopo l’imprigionamento.
D’Alì poteva contare sul supporto dei voti forniti da Vincenzo Virga,
capomandamento di Trapani, iscritto alla loggia massonica deviata Iside
2. Furono confermati anche i contatti tra gli stessi D’Alì e l’esponente
dell’Udc Francesco Campanella. Le indagini in merito alle connessioni
tra mafia e politica evidenziarono che Virga e Matteo Messina Denaro
decisero di votare per Forza Italia, confermando la linea adottata da
Provenzano ed evidenziando la vicinanza tra i boss trapanesi e
Dell'Utri. Lo scambio di voti politico-mafioso che coinvolge Berlusconi,
Pdl, Cosa Nostra, ‘Ndrangheta e altri sodalizi criminali è evidente ed è
ribadito dal varo dei lavori per il ponte sullo Stretto di Messina. Il
fratello di Antonio D’Alì, Pietro, fornì a Matteo Messina Denaro
un’indennità di disoccupazione dell’Inps pari a 4 milioni nel 1991. La
Banca Sicula, inoltre, era stata al centro di un’indagine della polizia
per un’ipotesi di riciclaggio e fu comprata dalla Comit. Giacomo D’Alì
lavora a Milano presso lo stesso istituto.
27/12/2010