Tremonti e tangentopoli

Tremonti era un amico di Craxi e questa connessione lo aiutò nella carriera politica. Nel 1987, si candidò nelle file del Partito Socialista Italiano, grazie ai rapporti che intratteneva con De Michelis. Dal 1979 al 1990 riuscì a inserirsi nelle liste dei collaboratori di altri due Ministri socialisti: il piemontese Franco Reviglio e il pugliese Salvatore Formica. Eletto alla Camera nel 1994, come esponente del Patto Segni, Giulio Tremonti si sganciò subito dal proprio partito, votando la fiducia al Governo Berlusconi e confluendo nei ranghi di Forza Italia. Nel 2005, lavorai per alcuni mesi presso la società Pirelli Real Estate SGR S.p.A., un’azienda del gruppo Pirelli, controllata dalla Pirelli Real Estate S.p.A., costituita come Società di Gestione del Risparmio (SGR) per amministrare i patrimoni di quattro fondi di investimento immobiliari: Cloe, Tecla, Olinda e Clarice. Avevo l’incarico di supportare il capo contabile della stessa SGR nell’ambito delle procedure informatiche volte alla redazione delle scritture di chiusura e di apertura dei conti al termine delle approvazioni dei bilanci e dei rendiconti del periodo 2004. Pirelli sfruttava un sistema contabile abbastanza facile da utilizzare, Sap, che richiedeva procedure automatizzate per le chiusure in partita doppia. I fondi, finanziati da Banca Intesa, erano proprietari di diversi immobili ed elencavano, tra i clienti e i fornitori, la Presidenza del Consiglio, il Centro Commerciale Bicocca, il Ministero dell’Istruzione, di cui era titolare Letizia Moratti, il Ministero dei Beni Culturali di Urbani, oltre ad altre amministrazioni dello Stato. Gli utili derivavano dagli affitti e dalle compravendite degli immobili stessi. Nei precedenti periodi di imposta, erano state registrate operazioni attive e passive, riguardanti, in particolare, la compravendita di abitazioni riconducibili ai due ministeri citati. Notai subito i rilevanti importi economici degli affitti, degli acquisti e delle vendite, così come notai lo Studio Tremonti tra i fornitori delle società Pirelli Real Estate SGR S.p.A. e Pirelli Real Estate S.p.A.. Sapevo perfettamente che lo Studio Tremonti era lo studio di consulenza societaria e tributaria fondato da Giulio Tremonti a Milano, rinominato Studio Vitali, Romagnoli, Piccardi quando il politico del Pdl decise di occultare la propria presenza. Tremonti, quindi, elencava tra i propri clienti le società del gruppo Pirelli, le principali banche di investimento nazionali e internazionali, istituzioni finanziarie, le principali banche italiane, società di telecomunicazioni, multinazionali industriali e non industriali, compagnie di assicurazione nazionali, fondi di investimento private equity e venture capital, fondi pensione e fondi immobiliari. Il Ministro suggeriva loro consulenze per acquisizioni cross-border, offerte pubbliche iniziali, strategie di uscita, strutturazioni di prodotti finanziari. Nell’ufficio della Pirelli, mi parve chiaro che il saldo delle costose fatture dello Studio Tremonti non costituisse altro se non un pagamento illecito, una tangente, un metodo utilizzato da Tronchetti Provera per assicurarsi la benevolenza di un componente del Governo nell’ottica di poter concludere i contratti di compravendita e di affitto degli immobili gestiti dai fondi. Similmente, le sponsorizzazioni dell’Inter, i cui calciatori giocavano con la scritta Pirelli stampata sulla maglia, costituivano un pagamento alla famiglia Moratti, eseguito proprio quando Letizia era titolare del Dicastero dell’Istruzione, nei confronti del quale la Pirelli Real Estate, le società controllate e collegate e i fondi da loro amministrati avevano firmato ricchi contratti di compravendita o di affitto. Tramite sponsorizzazioni milionarie e tramite il pagamento di milioni di euro di fatture, Tronchetti Provera corrompeva quindi Giulio Tremonti e Letizia Moratti, garantendosi l’appoggio dei due Ministri del Pdl. Tramite le compravendite di immobili appartenenti al patrimonio dello Stato, la Pirelli realizzava ingenti profitti. Tra le connessioni illecite di Tremonti, vi è anche la cattedra che detiene presso l’Università di Pavia, i cui responsabili pagano al politico del Pdl uno stipendio, volto ad assicurarsi lauti contributi statali e a far comparire l’ateneo pavese tra gli istituti virtuosi in termini di attività di ricerca, al fine di incassare finanziamenti. La presenza di banche e società finanziarie tra i clienti dello studio fondato da Tremonti si rivela, adesso, un fatto da spiegare alla luce del provvedimento legislativo voluto dallo stesso Tremonti come manovra anti-crisi, varata per aiutare gli istituti bancari. Intendiamoci: la bancarotta di Lehman Brothers, che avviò la crisi finanziaria globale nel 2008, non ha avuto ancora ripercussioni in Italia, nel senso che non sono stati registrati problemi di insolvenza degli istituti di credito, a danno dei consumatori. I “Tremonti bonds”, previsti dal Decreto Ministeriale 25 febbraio 2009, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 55 del 7 marzo 2009, permisero alle banche di far sottoscrivere al Ministero dell’Economia e delle Finanze dei titoli di credito speciali, emessi in forma di obbligazioni, con cedole annuali. Il vantaggio, per ogni istituto finanziario, fu connesso sia al consolidamento dei debiti verso i privati, sia al rafforzamento del capitale di vigilanza “Core Tier 1” e dei rapporti con la Banca d’Italia. In cambio della sottoscrizione ad opera del Dipartimento del Tesoro, la banche avrebbero dovuto favorire il credito alle famiglie e alle imprese, soprattutto piccole e medie, rafforzare la dotazione del fondo di garanzia per le aziende, aumentare le risorse da mettere a disposizione per il credito alle pmi, adottare un codice etico di governance, sospendere i pagamenti delle rate dei mutui per i lavoratori in cassa integrazione o percettori di sussidi di disoccupazione, appoggiare gli accordi per anticipare le risorse necessarie alle aziende per il pagamento della cassa integrazione. Tra gli istituti che adottarono una frazione dei miliardi di euro offerti dal Tesoro vi furono Banca Intesa San Paolo, Unicredit, Banco Popolare e Monte dei Paschi di Siena. C’è da domandarsi se Tremonti fatturò o se fatturerà alle banche prestazioni del proprio studio come contropartita delle obbligazioni? Sono questi i grandi affari di Stato che gestiscono i Ministri e i loro tirapiedi? Monte dei Paschi di Siena utilizzò la consulenza fiscale dello Studio Tremonti per vendere alla Lehman Brothers l’attività dei crediti in sofferenza. Non so se Letizia Moratti, proprietaria, amministratrice o dirigente, a vario titolo, di aziende come Syntek Capital Group, Securfin S.p.A., Nikols-Sedgwick BV, News Corp Europe e Carlyle, sia riuscita a beneficiare delle obbligazioni statali. Le società dei Moratti, Securfin Holdings S.p.A. e Saras S.p.A., inoltre, controllano il capitale di tre società lussemburghesi: Securfin Investments S.à r.l., Sarint S.A. e Reasar S.A.. Il Lussemburgo è quindi uno degli Stati verso cui la Moratti dirige parte delle proprie finanze. La manovra espansiva di politica monetaria voluta da Trichet durante il 2009, tramite il mantenimento dei tassi di interesse ad un livello notevolmente basso, permise la limitazione consistente degli interessi pagati da tutti gli Stati europei per i propri debiti e la liberazione di risorse destinabili ad altri interventi. Per le aziende e i privati, fu facilitata la sottoscrizione di indebitamenti e la programmazione di rate di rimborso più convenienti. Non sono sicuro che Tremonti abbia capito fino in fondo il senso della manovra di Trichet, volta ad aiutare le finanze pubbliche: i suoi bonds, di fatto, sottraggono disponibilità finanziarie allo Stato e sostengono le banche, lasciando risparmiatori e imprenditori in una situazione ibrida. Sono sicuro che Tremonti fatturò agli istituti bancari e finanziari, diventati clienti del proprio studio, anche la riforma del Trattamento di Fine Rapporto di lavoro subordinato, che destinò ai fondi di investimento privati molte liquidazioni dei lavoratori. Lo stesso studio, però, ha attirato le indagini della Procura di Milano nell’ambito di altri procedimenti giudiziari, tra cui l’affare condotto dalla Bell, società lussemburghese controllata da Emilio Gnutti tramite Gp Finanziaria S.p.A. e Hopa S.p.A., utilizzata come veicolo per l’operazione pubblica di acquisto lanciata da Olivetti per conquistare la maggioranza (51,02%) delle azioni della privatizzata Telecom Italia S.p.A. nel 1999. Hopa S.p.A. aveva tra i propri azionisti Unipol, Monte dei Paschi di Siena e Fininvest. Olivetti era controllata per il 23% da Bell. La rivendita delle azioni del gruppo Olivetti-Telecom Italia a Pirelli e Benetton, nel 2001, permise a Bell di ricavare una plusvalenza pari a 1,5 miliardi di euro, sottratti all’imposizione fiscale in Italia grazie alla domiciliazione fittizia in Lussemburgo. L’Agenzia delle Entrate, durante il mandato ministeriale di Tremonti, rimase inattiva. I suoi vertici accolsero la tesi dell’evasione fiscale, affermata dalla Procura di Milano, solo quando Prodi diventò premier. Il patteggiamento condusse Bell a pagare 156 milioni di euro all’Agenzia, che si sommarono a 20-25 milioni pagati in nero, secondo le dichiarazioni di Fiorani, manager della Banca Popolare di Lodi, informato da Gnutti in merito all’appoggio fornito da Tremonti al proprio <<cliente>>, ovvero Hopa, che sfruttò spesso i pareri fiscali dello Studio Vitali, Romagnoli, Piccardi (Tremonti). Dario Romagnoli, difensore di Bell, registrò le proprie prestazioni per 5 milioni di euro, stanziati nel 2005, nello Stato Patrimoniale di Bell, come debiti per consulenze non ancora fatturate pari a 31 milioni di Euro. Visti i procedimenti legali riguardanti le operazioni di espatrio di capitali e il conseguimento di indebiti vantaggi fiscali, svolte da società che i professionisti dello Studio Tremonti difesero in giudizio, mi viene il dubbio che anche il Decreto Legge 1° luglio 2009, n. 78, varato per stimolare l’emersione di attività detenute all’estero, possa essere stato scritto per aiutare i clienti inquisiti del Ministro dell’Economia, diventato legislatore, indagato dalla Procura di Milano. I condoni tombali, i concordati per gli anni pregressi e gli altri provvedimenti delle sanatorie fiscali, d’altra parte, erano già stati disapprovati da molte fonti, tra cui il Fondo Monetario Internazionale, che avevano rilevato la debolezza di rimedi isolati, volti ad inabilitare l’attività e l’azione di accertamento dell’Agenzia delle Entrate, in cambio del pagamento di cifre limitate, in rapporto alle possibili evasioni. Tremonti fu abbastanza scaltro da far sparire l’obbligo di presentazione degli elenchi dei clienti e dei fornitori dalla lista degli adempimenti fiscali, siccome i nominativi delle aziende e dei privati con cui ogni società intratteneva rapporti commerciali evidenziavano anche le connessioni illecite degli affari svolti illegalmente, come le prestazioni del suo studio. Bell non costituì l’unico cliente di Tremonti, entrato in contrasto con l’Agenzia delle Entrate per evasioni fiscali, con procedimenti rallentati o insabbiati. Mondadori, accertata per evasione fiscale, presenta una fattispecie simile. Le nomine dei vertici di aziende partecipate dallo Stato (Enel, Eni, Agusta e Alenia Aermacchi), inoltre, coinvolse spesso soci e collaboratori dello stesso studio. Nel 1992, il Ministro fondò in Lussemburgo lo Studio Tremonti International, che liquidò in seguito. Nel periodo di attività, riciclò centinaia di migliaia di euro, sottratti all'imposizione fiscale in Italia. I conflitti di interessi che coinvolsero Tremonti come Ministro, legislatore, esperto di paradisi fiscali e tributarista compresero altri clienti: Dolce & Gabbana, Telecom Italia, Techint, Ricucci, Capitalia, Dalmine, la Popolare di Lodi di Fiorani e l’Unicredit di Geronzi e Profumo. Le intercettazioni telefoniche riguardanti i suoi affari furono stampate in una pagina web anche dall’Adusbef, l’istituzione volta alla difesa dei diritti degli utenti dei servizi bancari e finanziari. Gianpiero Fiorani, arrestato e inquisito nell’ambito delle indagini riguardanti l’affare Antonveneta, parlò spesso di Tremonti nelle dichiarazioni fornite alla Procura di Milano: <<Il dottor Gnutti mi riferì che Tremonti aveva affermato a suo tempo l’appoggio al nostro progetto -, disse Fiorani -, anche perché, fra le altre circostanze che riguardavano i contatti frequenti col dottor Gnutti, c’era la ventilata ipotesi che il ministro dell’Economia fosse ancora... L’ex ministro dell’Economia era, forse, ancora, per certi aspetti, avversario dell’atteggiamento del governatore (Fazio, n.d.r.) e, quindi, avversario anche del nostro progetto. Mi ricordo che Gnutti, dopo aver fatto questo approfondimento con il Ministro Tremonti, mi disse una frase del tipo “figuriamoci se io vado contro i miei clienti”. I suoi “clienti”, erano Hopa e il circuito legato a Hopa, che si sono avvalsi da sempre, nei confronti delle questioni che avevano, dello Studio Tremonti e del Ministro Tremonti>>, che garantì, quindi, il proprio appoggio invisibile all’operazione. Il verbale rilevò altri elementi riguardanti Tremonti quando Claudio Zulli, un commercialista dello Studio Vitali, Romagnoli, Piccardi, iniziò ad occuparsi della vicenda, riferendosi a Giovanni Consorte, condannato per insider trading. In una telefonata, Consorte disse <<che la settimana successiva sarebbe andato a Milano>> e domandò a Zulli <<di mettersi d’accordo per incontrare il professor Tremonti, per ringraziarlo e spiegargli due o tre cosette>>. Zulli affermò quindi che Tremonti era <<contento>>, che gli aveva <<tirato la giacca, dicendo: prendiamo qualcosa>>, che <<il professore darà l’imprimatur>> e che poi lui stesso si sarebbe potuto occupare della parte operativa. Consorte acconsentì: <<Tu sai che il Governo ci ha dato una mano e sai come ragiono io: la riconoscenza va data al punto giusto>>. Cos’è? Concussione o corruzione? Il pagamento di prestazioni in cambio delle decisioni di un Ministro non è accettabile. Secondo Zulli, Tremonti si mosse e seguì questa vicenda con molta ammirazione. <<L’importante è che ci siano i ricavi, - disse Zulli -. È stato fatto un gran lavoro>>. Consorte rispose che <<Il buon Tremonti è uno che capisce, non è mica... È con Gnutti che dovrò intervenire pesantemente>>. Altre intercettazioni registrarono i contatti tra Fiorani e Benevento, Presidente della Popolare di Lodi, nell’ambito dell’operazione Telecom. Fiorani: <<Gnutti si è visto con Tremonti>>. Benevento: <<Con Tremonti?>> F.: <<Sì, me l’ha detto proprio Gnutti... Tremonti gli ha chiesto, qualora l’operazione andasse avanti, di prendere come studio legale quello dell’avvocato Vitali, che lavora con lo stesso Tremonti>>. B.: <<Ma Tremonti è veramente un figlio di …>>. F.: <<Veramente un figlio di… Allora io ho chiesto a Gnutti: “Ma non ci sono problemi con Tremonti?”. Lui mi ha risposto di no. Gnutti non lo dice, ma si capisce: lui deve un favore a Tremonti perché gli ha messo a posto quella faccenda>>. Secondo Fiorani, Tremonti aveva un potere decisionale che poteva indirizzare le azioni di Gnutti, visto l’affare Bell, il cui procedimento era insabbiato. Durante le deposizioni, lo stesso Fiorani dichiarò che <<Gnutti mi aveva riferito di aver incaricato lo Studio Tremonti... Ho sempre interpretato il debito di Gnutti come un debito di riconoscenza per essergli stato particolarmente vicino, in un momento delicato, con la sua assistenza professionale... Ricordavo che la vicenda Bell era stata risolta. Io ritenevo fosse stata risolta, con riferimento a una parcella pagata allo Studio Tremonti per una cifra importante: 20 o 25 milioni di euro>>. È quindi Tremonti il riferimento governativo della lobby delle banche, che lo ricompensano abbondantemente. Diventa visibile che un fiscalista, come Ministro dell’Economia e delle Finanze, è meno adatto di un tecnico economista, più propenso a proporre leggi che, rigorosamente, contengono meno interessi parziali e che soddisfano appieno le esigenze comuni della spesa statale.

01/03/2010