Berlusconi e Calò

Le connessioni mafiose di Berlusconi compresero i contatti con Calò, Cinà, Bontate, Di Carlo e Dell’Utri. I miliardi richiesti per far partire le attività economiche delle società del magnate di Arcore affluirono attraverso i conti di diversi enti finanziari, comprendenti soprattutto la Banca Rasini, un istituto di credito posto nei pressi di Piazza Affari, a Milano, di proprietà della famiglia Rasini e del clan siciliano degli Azzaretto. Oltre a Berlusconi, tra i clienti della Banca Rasini c’erano criminali come il cassiere della mafia Pippo Calò e i leaders di Cosa Nostra Salvatore Riina e Bernardo Provenzano. Secondo indagini svolte dalla Polizia di Milano, l’istituto era noto per essere un centro destinato al riciclaggio di capitali mafiosi, confluiti anche verso le società del premier. In pochi anni, Berlusconi riuscì a disporre di 113 miliardi, con cui iniziare le proprie speculazioni edilizie. Grazie ad una cospicua disponibilità finanziaria, Calò riuscì a finanziare Berlusconi tramite la Banca Rasini e tramite altri intermediari, versando i fondi a società residenti in Svizzera. La Edilnord Sas si procurò soldi grazie ad una società domiciliata a Lugano. Berlusconi registrò presso la Banca Rasini ventitré società holding.

<<È vero>>. Il premier ha commentato così le informazioni riguardanti la Banca Rasini e Pippo Calò. Dell’Utri presentò a Berlusconi personaggi come Bontate, Di Carlo, Grado, Teresi e Cinà a Milano, in Via Foro Bonaparte, presso un immobile di proprietà della Edilnord, società destinata ad impiegare gli operai provenienti dalla Sicilia, fondamento delle cricche di mafiosi arruolate dal boss di Arcore, che si aggregarono ai servizi deviati offerti dalla Fininvest negli anni seguenti. Berlusconi, Bontate e gli altri parlarono di edilizia e della costruzione di Milano 2, contrattando una vicendevole disponibilità. In altri termini, a Berlusconi servivano i soldi che Cosa Nostra poteva offrire. Il boss Bontate diventò socio delle Tv Fininvest, impegnandovi denaro riciclato. La società Par.Ma.Fid acquistò importanti quote delle ventitré holding di Berlusconi. Oltre a gestire una grande fetta del Gruppo Fininvest, incassando i relativi dividendi, la stessa Par.Ma.Fid amministrava tutti i beni di Antonio Virgilio, finanziere di Cosa Nostra e riciclatore di soldi per conto dei clan di Giuseppe e Alfredo Bono, Salvatore Enea, Gaetano Fidanzati, Gaetano Carollo, Carmelo Gaeta e altri boss di area corleonese e non, operanti nel traffico di stupefacenti a livello mondiale. Gli immobili di Milano 2 e altri edifici costruiti dalla Edilnord furono acquistati anche da società riconducibili a Cosa Nostra, che continuò, quindi, a finanziare il politico di Forza Italia, propenso ad offrire opportunità di impiego ai malavitosi. Il Gruppo Fininvest, molto probabilmente, è tuttora partecipato da capitali mafiosi.

La connessione tra Stefano Bontate e Silvio Berlusconi fu confermata dal pentito Antonino Giuffrè, che affermò il ruolo intermediatore di Vittorio Mangano, un mafioso coinvolto nel traffico di eroina a Milano, assunto dal premier ad Arcore, appartenente al clan di Pippo Calò, secondo le informazioni fornite da Buscetta e da Contorno. Durante il periodo in cui Mangano lavorò ad Arcore, Berlusconi riscosse altri soldi, in contanti. Giuffè rivelò che <<Bontate e altre persone, di tanto in tanto, si incontravano con Berlusconi, con la scusa di andare a trovare lo stesso Mangano>>. L’atteggiamento contrario alla magistratura, esposto dal Pdl, scaturisce anche dalla strategia della mafia, volta a debilitare la giustizia. Giuffrè, numero due di Provenzano, si inserì tra i maggiori pentiti e chiarì che Cosa Nostra pensò di <<alleviare quella pressione che veniva esercitata dalle forze dell’ordine e dai magistrati>> votando per Forza Italia e per il Pdl, i cui esponenti politici in Parlamento iniziarono a tutelare interessi mafiosi, in contrasto con un altro cardine dell’ordinamento statale. Dell’Utri si impegnò ad intralciare la magistratura, in cambio dei voti. Ogni provvedimento legislativo contro l’azione della giustizia, quindi, non fa altro che confermare le connessioni politico-mafiose del premier e dei politici appartenenti al suo partito. Dell’Utri, soprattutto, <<essendo una persona vicina (se non affiliata, n.d.r.) a Cosa Nostra e a Berlusconi>> era considerato da Provenzano <<persona seria ed affidabile>>, atta ad appoggiare gli affari della mafia. Secondo Giuffrè, altri due mafiosi, <<Filippo Graviano e Giuseppe Graviano, insieme all’imprenditore Gianni Ienna, facevano da tramite fra Cosa Nostra e Berlusconi>>, i cui rapporti con la criminalità erano noti: <<sin da allora, sapevamo di Mangano, che era alle dipendenze di Berlusconi. C’era un certo contatto tra Cosa Nostra e Berlusconi, grazie alla persona che aveva direttamente in casa. Poi vi erano altre persone, nei punti chiave della sua amministrazione…>>

Giuffrè era un componente della Commissione che governò Cosa Nostra durante la leadership di Provenzano, così come Virga, Messina Denaro, Spera, Rinella, Balsano e Manciaracina. I contatti mafiosi di Dell’Utri, coordinatore di Forza Italia e del Pdl in Sicilia, sono evidenziati anche dalla condanna che subì nel 2007, per la tentata estorsione ai danni dell’imprenditore Vincenzo Garraffa, eseguita con la complicità di Vincenzo Virga, capomandamento della Provincia di Trapani. Tramite Virga, Dell’Utri, quindi, era connesso a Provenzano, a Messina Denaro e agli altri boss della Cupola, che si unirono alle relazioni con Cinà, Mangano, Teresi, Pullarà, Riina, Rapisarda, Prestigiacomo, Calderone, Ganci, Ciancimino, Fauci e Corallo. Le rivelazioni di Giuffrè comprovarono le collusioni di Dell’Utri e di Berlusconi con esponenti di vertice della criminalità e della Cupola, confermando le attestazioni degli altri pentiti. Bontate, infatti, non era un boss sconosciuto: era integrato nella Commissione al vertice di Cosa Nostra, assieme a Leggio e Badalamenti. Fu ucciso nel 1981 da Pino Greco, che eseguì gli ordini di Salvatore Riina. Il suo assassino era un killer spietato, inserito in una squadra della morte che insanguinò la Seconda Guerra di mafia agli ordini di Riina e Provenzano. Tra le sue vittime vi furono Chinnici, Dalla Chiesa e Inzerillo. Lo stesso Greco morì nel 1985, sotto i colpi di Giuseppe Lucchese Miccichè.

Le connessioni mafiose di Berlusconi sono diventate evidenti, visto il progetto del ponte sullo Stretto di Messina, gli scambi di voti politico-mafiosi e i rapporti tra lo stesso Berlusconi ed esponenti della criminalità. Spesso, le dichiarazioni di Berlusconi sono rivolte alla Cupola. L’accordo politico per il ponte sullo Stretto è destinato ai vertici della mafia, alla Commissione Interprovinciale, il cui leader è Matteo Messina Denaro, vista l’intenzione di accaparrarsi i voti dei siciliani e dei mafiosi. Nominando Messina, Berlusconi si rivolge a Cosa Nostra. D’altronde, il magnate di Arcore diventò un boss attivo in tutta Italia nei settori dell’edilizia e dell’editoria. I rapporti con Craxi, con Gelli e con altri politici lo aiutarono ad ampliare le proprie attività, spesso aiutate da tangenti e da pagamenti illeciti. Giornali, televisioni e riviste di sua proprietà iniziarono a produrre servizi deviati. Il progetto del ponte sullo Stretto è un finanziamento alla mafia, promesso e deciso per far confluire i voti di Cosa Nostra e ‘Ndrangheta verso Forza Italia e Pdl: costituisce un pagamento alla criminalità siciliana, ordinato da Berlusconi per sdebitarsi, visto il sostegno economico che i clan gli fornirono all’inizio della propria attività edile. Allo scambio di voti politico-mafioso, annunciato nominando il ponte di Messina durante le campagne elettorali, si aggiunge quindi il finanziamento di Cosa Nostra tramite la destinazione di un cospicuo affare statale.

24/03/2010