Ratko Mladic

L’arresto di Ratko Mladic è ottenibile. Il mandato di cattura internazionale nei suoi confronti è nelle mani della polizia di Belgrado. Mladic è indagato dalla giustizia internazionale per le persecuzioni, le deportazioni, le torture e le morti registrate in Bosnia durante il conflitto che oppose serbo-bosniaci, croati e bosniaci. Le accuse firmate da Carla Del Ponte comprendono sterminio e crimini di guerra. Mladic adesso vive in Serbia, a Belgrado e a Valjevo. Nella prima città, Ratko occupa gli appartamenti di due abitazioni, indiziate dalla polizia, poste in Blagoja Parovića, n. 117 e 117a. La sua presenza è indubbia ed è confermata dalle perquisizioni delle forze di sicurezza e dagli abitanti della città serba. Valjevo è un ampio centro urbano della Serbia, situato ad una scarsa distanza dal confine con la Bosnia. Il Governo di Cvetković ha destinato una taglia pari a 1.000.000 di euro per informazioni utili all’arresto di Mladic, che si aggiungono ai 5.000.000 di dollari offerti dagli Stati Uniti. Mladic, che riuscì a percepire un salario da Belgrado fino al 2001 e una pensione fornita dalla Repubblica Srpska fino al 2002, agì come comandante dello stato maggiore dell’Esercito della Repubblica Serba (Vrs) dal 1992 al 1996. Il partito dei serbi di Bosnia Sds (Srpska Demokratska Stranka) fornì armamenti alla propria etnia nel 1991, proclamando la costituzione della Repubblica Srpska nel 1992, nelle zone in cui i serbi erano stati massacrati durante la Seconda Guerra Mondiale, simmetricamente allo stabilimento di una Repubblica Croata, dividendo la stessa Bosnia in differenti frazioni. Nel 1991, le istanze di autonomia della Croazia e della Slovenia ingaggiarono l’esercito jugoslavo (Jna) nei primi scontri. Il riconoscimento internazionale della Bosnia, registrato il 6 aprile 1992, causò la nascita dei contrasti a Sarajevo. La città fu bloccata e bombardata dalle posizioni strategiche occupate dalla Vrs nel centro abitato e attorno ad esso. In maggio, le forze serbo-bosniache, agli ordini di Mladic, iniziarono a lanciare ordigni e proiettili verso obiettivi borghesi e istituzionali, uccidendo e intimorendo la popolazione. Dai monti che costeggiano Sarajevo, i soldati di Mladic monitorarono e colpirono la città, con lanciamissili e mortai. Il 12 maggio 1992 Radovan Karadzic espose gli obiettivi strategici dei serbo-bosniaci, tra cui la conquista di un passaggio verso il mare e la definizione di confini tra i serbi e le altre due etnie (arabi bosniaci e croati). Il Secondo Distretto Militare della Jna diventò il fondamento dello stato maggiore della Vrs. L’esercito di Belgrado abbandonò ufficialmente la Bosnia. Serbia e Croazia fornirono i supporti logistici indispensabili alle milizie. Le truppe di Mladic avviarono la guerra di conquista di tutta la Repubblica Srpska. Le persecuzioni furono rivolte ad allontanare migliaia di bosniaci e di croati. Gli abitanti non-serbi furono assoggettati a trattamenti, restrizioni e condizioni crudeli, usati come scudi viventi sulle linee del fronte, costretti a preparare sepolture collettive, separati, deportati, uccisi. Le abitazioni, le attività commerciali e i centri urbani dei residenti furono requisiti, distrutti, bombardati, incendiati e mitragliati. I soldati croati agirono soprattutto nella Bosnia Centrale, assediando e conquistando paesi e città (Novi Travnik, Vares, Kiseljak, Vitez,…). Da gennaio a marzo 1993, secondo la Direttiva Operazionale 04, i militari della Vrs, comandati da Mladic, attaccarono la provincia della Cerska. Migliaia di arabi raggiunsero le aree gestite dal Governo di Izetbegovic, poste sotto la protezione delle Nazioni Unite. Tra il 1993 e il 1995, i serbo-bosniaci aggredirono Banja Luka, Kljuc, Prijedor, Sanski Most, Bihac-Ripac, Zvornik, Bijeljina, Bosanska Gradiska, Bratunac, Bosanska Krupa, Bosanski Novi, Doboj, Brcko, Kalinovik, Kljuc, Kotor Varos, Kamenica, Vogosca, Nevesinje, Novi Grad, Prijedor, Rogatica, Teslic. Dal 26 maggio al 19 giugno 1995, le truppe di Mladic si impadronirono delle postazioni dell’Onu, arrestando centinaia di caschi blu, che utilizzarono come ostaggi contro i raid della Nato. L’aeroporto di Sarajevo costituì un punto strategico per i rifornimenti logistici della città. La responsabilità criminale individuale di Ratko Mladic riguardò l'amministrazione, la programmazione, la direzione e il monitoraggio di tutte le operazioni della Vrs, delle unità militari e degli ufficiali. L’autorità del comandante dello stato maggiore della Vrs era subordinata solo alla Presidenza della Repubblica Srpska, ovvero a Karadzic. Le forze regolari ai suoi ordini erano costituite dai Corpi Krajina 1, Krajina 2, Bosnia, Drina, Sarajevo-Romanija ed Herzegovina, dal 65° Reggimento di Protezione e dal 10° Distaccamento di Boicottaggio. Ogni divisione aveva un comandante e un gruppo di comando, dipendenti da Mladic, che procurava decisioni, ordini, direttive e informazioni. Esisteva un coordinamento con le unità paramilitari e di volontari, così come con la polizia serbo-bosniaca e con i comparti provinciali di crisi. Responsabile di tutte le azioni della Vrs, Ratko doveva garantire il rispetto delle leggi del diritto internazionale in materia di condotta della guerra e stabilì l’amministrazione della giustizia militare delle proprie truppe dal 1992 fino alla metà del 1993. I reati a lui contestati furono programmati, preparati ed eseguiti nello svolgimento di un’impresa criminale congiunta, di cui Mladic era consapevole, a cui contribuirono Momir Talic, Stanislav Galic, Dragomir Milosevic, Radislav Krstic, Radovan Karadzic, Momcilo Krajisnik, Biljana Plavsic e Slobodan Milosevic, oltre ad altri componenti e leaders delle forze serbo-bosniache e jugoslave. Per questo motivo, Ratko Mladic dovrà comparire davanti alle autorità giudiziarie delle Nazioni Unite. Il conflitto in Bosnia fu difficile, probabilmente, d’inverno, con i monti, le valli e i boschi innevati. Alla fine della guerra, le abitazioni ridotte allo scheletro, traforate da proiettili, apparivano in mezzo alle lande e alle strade ghiacciate. Tombe e sepolture collettive interrompevano l’orizzonte. Il coinvolgimento dei contingenti della Jna nel conflitto in Bosnia è testimoniato dalle tombe che si vedono tuttora in Serbia. Adesso, il Governo serbo ha depositato la propria formale candidatura per l’ingresso nell’Unione Europea, ottenendo il nullaosta dell’Olanda e agevolazioni per i visti dei propri cittadini. L’inserimento nell’Ue fornirà, finalmente, l’opportunità di limitare le tensioni esistenti nella ex Jugoslavia, dove i conflitti comportano ancora numerosi morti e feriti. È opportuno ricordare che la Serbia costituisce uno stato europeo sotto ogni punto di vista, come vogliono sottolineare i suoi abitanti. Gli scontri ai confini sono ordinari. In Bosnia, la divisione della Repubblica Srpska mostra dei problemi, così come le enclavi kosovare. Blagoja Parovića è una via che conduce alla periferia di Belgrado, dove sono stati registrati degli incidenti, forse dovuti alla presenza di Ratko Mladic. Esiste tuttora un problema di sicurezza, costituito dai propositi di vendetta dei croati e degli arabi. Mladic è tuttora visto come un tutore dell’etnia serbo-bosniaca, in grado di garantire un intervento appropriato. I bosniaci dovranno rinunciare ai comportamenti aggressivi. Un altro soldato incriminato dalle Nazioni Unite, Milan Gvero, è stato rilasciato fino al 15 febbraio per lo svolgimento di un’operazione cardiaca e dovrà affrontare la fine del procedimento in cui è accusato di crimini di guerra. La polizia ha arrestato Dusko Jevic, Zoran Ilic e Mendeljev Djuric, incolpati di aver condotto massacri agli ordini di Mladic. I conflitti in Bosnia e in Kosovo condussero la Nato a schierarsi con le fazioni islamiche e con le rispettive truppe, contro i militari di Belgrado, a causa di motivi che possono essere fondamentalmente ricondotti allo sterminio svolto dalla Vrs, alla divisione derivante dalla Guerra Fredda, all’aiuto chiesto da croati, sloveni, bosniaci e kosovari, nonostante il genocidio, simmetrico, che subirono i serbo-bosniaci e i serbi abitanti in Kosovo per colpa degli attacchi delle milizie di Izetbegovic, dell’Uck e dei croati. La mancata condanna di criminali di guerra bosniaci, kosovari e croati, tra cui Glavas, spesso graziati o non accusati dal Tribunale Internazionale dell’Aia, ha fatto sollevare dei dubbi in merito alla completezza dell’azione intrapresa dalle autorità dell’Onu. La presenza di sepolture di decine di migliaia di serbi fa incontestabilmente notare l’esecuzione di crimini di guerra. Questo fatto non discolpa Mladic, Karadzic e Gotovina, ma lascia notare le mancate condanne di altri militari e leaders (come Izetbegovic, Limaj, Ceku, Oric e Haradinaj). Nell’ambito del procedimento che riguarda Karadzic, si può rilevare la possibilità di un’incriminazione postuma di Izetbegovic, responsabile dell’istanza di autonomia bosniaca e della condotta della guerra svolta dalle proprie milizie, nonostante le atrocità evidenti e comprovate di procedure che compresero persone decapitate, cadaveri bruciati e fatti a pezzi. La Serbia ha inoltrato una querela per genocidio alla Corte Internazionale di Giustizia nei confronti della Croazia. Ovviamente, si devono conteggiare anche le vittime causate dagli attacchi degli Stati Uniti in Serbia, Kosovo, Bosnia e Repubblica Srpska, che, sommati ai morti dei conflitti in Iraq e in Afghanistan, inaspriscono i dubbi relativi alle aggressioni del Pentagono in qualità di tutore dell’ordine del mondo. Gli appostamenti svolti pochi giorni fa a Belgrado mi hanno fatto entrare in contatto con Ratko Mladic. Ho monitorato gli appartamenti abitati nella villa posta al n. 117 di Blagoja Parovića. In prima istanza, sono risultati occupati i vani del primo e del terzo piano. Davanti al garage, era parcheggiata una macchina argentata, che avevo già notato nei mesi di maggio e di giugno 2009, sepolta dall’innevamento abbondante. Questo indizio mi ha fatto capire che Mladic avrebbe dovuto essere in città. L’alloggio al n.117a presentava solo una camera popolata, al primo piano. Durante un primo pomeriggio di indagine, svolta in un clima glaciale, ho notato i movimenti di un fuoristrada di colore bordeaux e di due auto dell’agenzia di sicurezza Securiton, soffermatesi davanti alle case per pochi istanti. Vedendomi aspettare al freddo, i residenti hanno fatto dei segnali, aprendo i tendaggi bianchi delle finestre. Il secondo giorno, la presenza di Ratko è stata avvertita nel centro di Belgrado. La macchina della famiglia Mladic non era più parcheggiata nell’isolato. La polizia serba si è fatta notare, passando in Blagoja Parovića con una propria volante. Quando stavo attendendo il rientro della vettura argentata, un’anziana donna, perfettamente somigliante a Bosiljka Jegdic, moglie di Ratko Mladic, si è avvicinata a me, vestita con un pesante cappotto di lana, portando due sacchi. La signora Mladic si è quindi allontanata, camminando in salita, verso una fermata dell’autobus che conduce in periferia, arrancando sul ghiaccio. Ho avuto il sospetto che portasse con sé dei viveri, per raggiungere il marito. Due spari, o due esplosioni, hanno spezzato la tranquillità del buio. La mattina seguente, la radio di uno dei taxi che ho utilizzato per raggiungere Blagoja Parovića ha detto che Ratko Mladic si stava dirigendo verso Valjevo: la polizia ne sorveglia tutti i movimenti...


31/12/2009