
Il Pentagono, colpevole di 130.000 morti in Iraq, 40.000 morti in Afghanistan e 5.000 morti in Serbia, utilizzò armi atomiche durante le guerre condotte dal 1995 in poi. Nell’ex Jugoslavia, l’uranio impoverito comportò la morte di 77 soldati italiani, colpiti da linfomi di Hodgkin e da neoplasie maligne. La Commissione del Senato incaricata di spiegare il motivo delle malattie, che riguardarono 312 soldati impegnati in Bosnia e in Kosovo, evidenziò le connessioni tra la radioattività dell’U238 e le diverse patologie, dimostrate dalle conclusioni tecniche della Commissione Mandelli. Le Nazioni Unite rilevarono tre siti, inquinati da materiali e da particelle radioattive, a Hadzici e Han Pijesak. La Nato sparò, nel 1995, durante l’operazione di attacco in Bosnia, 10.000 proiettili con uranio impoverito e confermò gli obiettivi dei lanci di ordigni nucleari. Hadzici è un centro urbano posto nelle vicinanze di Sarajevo. L’aviazione statunitense colpì i capannoni per le riparazioni dei carroarmati e un deposito di proiettili dell’esercito della Repubblica Srpska (Vrs, Vojska Republike Srpske). Esiste un’altro campo dell’esercito bosniaco nella stessa zona, dalla parte opposta del centro abitato rispetto agli obiettivi degli Stati Uniti. I soldati di guardia chiedono un permesso delle forze dell’ordine per poter entrare nelle aree colpite da uranio impoverito. Ho dovuto presentarmi presso un altro sito militare, prima di giungere, finalmente, agli obiettivi. I fabbricati sono adiacenti e forniscono l’impressione di essere stati distrutti da un’esplosione atomica. Si vedono le rovine in disuso delle strutture degli edifici e si sente tuttora l’odore dei materiali in combustione, identico alle esalazioni di pneumatici bruciati: l’uranio è rimasto nell’atmosfera. Gli statunitensi potrebbero aver utilizzato ordigni con isotopi di uranio arricchito (U235). Vi sono abitanti di Hadzici che mostrano visi anemici. Il contingente della Nato in Bosnia (Sfor) dispone oggi di 20.000 unità. Le forze armate bosniache furono fondate nel 2005, tramite l’unione degli eserciti della Federazione di Bosnia e della Repubblica Srpska. È indubbio che i bombardamenti di Hadzici comportarono subito delle vittime. Tra i 4.500 serbi che lasciarono la zona alla fine del conflitto, inoltre, furono registrate 400 morti dovute a patologie tumorali. Ad Han Pijesak, i jet alleati bombardarono più volte un deposito di ordigni della Vrs. Il centro urbano, posto nella Repubblica Srpska, è raggiungibile da Sarajevo in poche ore di macchina. Il target della Nato è sulla strada tra Han Pijesak e Srebrenica. Finite le abitazioni del paese, oltre un cantiere, inizia la via che porta al deposito, interrotta da un cancello di metallo all’entrata dell’agglomerato. I jet colpirono i fabbricati e tutto lo spazio aperto. Ratko Mladic condusse la guerra in Bosnia da Han Pijesak e si sente dire che vi possiede uno stabile, che sfrutta, talvolta, come alloggio. Il Pentagono rese noti altri obiettivi dei raid aerei, posti soprattutto nei pressi di Sarajevo: mitragliatori, carroarmati, depositi, pezzi di artiglieria e mortai. Le Nazioni Unite esposero la tavola degli obiettivi colpiti nelle zone dei monti che sovrastano la capitale bosniaca. L’uranio impoverito contaminò quasi tutta la cintura delle posizioni che permisero l’assedio della città. Durante la guerra, le abitazioni furono distrutte e mitragliate. La presenza di molecole di U238 avrebbe quindi potuto essere stata aggravata. L’esercito italiano fu ospitato presso un dormitorio utilizzato in precedenza da altri contingenti, nei capannoni indicati come Tito Barracks, totalmente traforati da spari. Nello stesso quartiere, inoltre, vi è un sito termonucleare, che produce elettricità e che potrebbe avere aggravato la quantità di radioattività nell’ambiente. Un secondo impianto atomico può essere notato a lato della via che porta a Visoko. I tre targets in cui si può rilevare la persistenza di isotopi di uranio impoverito indicano i posti dove furono usate armi atomiche ad alto potenziale, ma non sono le uniche zone colpite dai 10.000 ordigni aventi come esplosivo lo stesso U238. Si vedono i segni della guerra, tuttora, anche a Belgrado e in Serbia. I jet e le navi statunitensi sfruttarono sicuramente ordigni con uranio. Il loro potenziale, altrimenti, non sarebbe stato abbastanza lesivo. Durante 76 giorni di attacco, tra il 24 marzo e l’8 giugno 1999, la Nato colpì obiettivi non solo militari nelle aree e negli abitati di Batajnica, Ripanj, Leštane, Avala, Rakovica, Jajinci, Žarkovo, Mokri, Topčider, Sremčica, Trešnja, Surčin, Lipovica, Jakovo, Zuce, Banjica, Kotež, Rakovica, Zemun, Zvezdara, Ralja, Barič, Ostružnica, Krnjača, Resnik, Kostolac, Čukarica, Dedinje, Veliki Crljeni, Sopot, Bubanj Potok, Bežanijska, Umka, Slankamen. Nella capitale serba, furono centrati il Ministero degli Affari Interni, le vicinanze della Clinica Ostetrica e dell’Ospedale Psichiatrico, il Ministero della Giustizia, la residenza presidenziale di Milosevic, i fabbricati della televisione statale, la base dell’esercito jugoslavo, la rappresentanza diplomatica cinese e New Belgrade. Il rancore per l’aggressione Usa resta consolidato tra i serbi. In Kosovo, l'Alleanza Atlantica utilizzò 31.000 ordigni con uranio. La diffusione dei targets è maggiore a sud-ovest, nella zona delle città di Brodosavce, Prizen, Junic, Istinic. L'esercito italiano mantiene una base a Peje. I problemi più rilevanti sono dovuti all'antrace.
Film: Hadzici, Han Pijesak, Sarajevo e Belgrado
20/06/2009