Iraq: centrali atomiche

Il sito di Ain Sifne
Vi sono siti nucleari in Iraq, molti dei quali erano già noti alle Nazioni Unite. Saddam impiegò quindi isotopi radioattivi, oltre a tutto il materiale chimico, per aumentare il potenziale delle proprie armi. La condanna del raìs è tuttora apprezzata dalle fazioni avverse ai sunniti, dai curdi e dagli sciiti. Gli arabi dicono che l’esecuzione fu conferita al Mossad. In futuro, l’Iraq potrà usare le sostanze atomiche, prodotte e depositate negli impianti esistenti, per la realizzazione di arsenali nucleari.

La centrale elettrica di Erbil è visibile da quasi tutta la città. La struttura è posta nei pressi del centro e della fortezza. L’architettura è costituita da 24 torri cilindriche, divise in due gruppi identici da una colonna di cemento destinata alle sale tecniche. I depositi di combustibile sono accerchiati da un perimetro di muri di cinta, sorvegliato da militari armati, che presidiano il cancello dell’entrata. Si tratta di un impianto termonucleare, che gli abitanti e la radio curda definiscono “Euratom”, o “Euratomic”. La produzione di elettricità avviene tramite la combustione di gasolio, che alimenta i primi altiforni, nel sottosuolo. La fissione nucleare avviene in altri bruciatori, con l’energia sprigionata in precedenza. Passando a fianco della centrale, si avverte chiaramente un’onda elettromagnetica. Ogni sera, a Erbil, si sente l’odore acre del monossido di carbonio.

Verso ferragosto, le pareti delle abitazioni hanno tremato leggermente, come se si stesse avvertendo una minima scossa di terremoto. I cittadini di Erbil mi avrebbero chiarito il giorno dopo che era stata lanciata una nuova fissione in uno dei reattori, a 500 metri di distanza. La reazione è stata chiaramente percepibile e gli effetti sono durati qualche minuto. Ho avvertito il calore dell’onda radioattiva pervadere la testa, fino al teschio. La sensazione ha rispecchiato l’effetto di un fungo atomico: l’esplosione iniziale ha irradiato l’onda della reazione nucleare. Non ho dubbi: il sito di Erbil è rivolto alla produzione di energia atomica. La tecnologia è antiquata. Resta da definire solamente la destinazione dei materiali di scarto. Ovviamente, le informazioni corrispondono a quanto riferito dagli iracheni stessi, ma potrebbero essere smentite da indagini più approfondite. Erbil è una città tranquilla. I conflitti tra l’armata della resistenza, la Cia e i guardiani delle agenzie di sicurezza avvengono al di fuori dell’abitato, dove le squadre dei guerriglieri possono attaccare le postazioni stabili. Di notte, si sente il grido che incita alla jihad, tra gli spari delle armi.

Nel Kurdistan iracheno, vi sono altre centrali. Il sito di Ain Sifne è posto nell’ambiente desertico, tra due maggiori centri urbani: Dahuk e Ain Sifne. Nei dintorni, i monti hanno il colore rossastro tipico delle miniere di ferro, come in Iran. Questa conformazione del suolo potrebbe avere dei giacimenti di uranio. L’impianto nucleare è chiaramente visibile percorrendo la strada che connette Erbil a Dahuk, sul lato sinistro, nei pressi dell’incrocio con un’altra via rilevante, che collega Mosul ad Ain Sifne. La struttura, ancora una volta, è formata da 24 torri di raffreddamento, con una parte laterale destinata agli uffici tecnici e tre enormi depositi rotondi che dovrebbero contenere gli idrocarburi per la combustione termoelettrica. Si vedono cavi elettrici entrare e uscire dalla centrale. Una colonna è mascherata da silos. Nelle vicinanze, vi è un ampio quadrilatero pieno d’acqua. La radio dice che ci sono già stati degli incidenti e che vi è del plutonio. L’onda elettromagnetica è fastidiosa. Come a Erbil, i poliziotti agitano aste luminescenti, che fanno pensare alle barre di uranio utilizzate per le reazioni. I militari formano un reticolo di sicurezza, con checkpoints, che controllano bagagli e documenti, torrette armate, che presidiano i margini delle strade, e jeep, che percorrono le stesse vie.

Andando da Dahuk a Zakhu, quando la strada gira verso destra e oltrepassa un rilievo, nei pressi di Gir Pahn, la centrale del Lago Mosul appare subito dopo un checkpoint. I poliziotti chiedono i dettagli del viaggio. Il sito ha le stesse torri cilindriche delle altre strutture e lo spazio per gli uffici tecnici. La radio riferisce che questo è un impianto atomico. L’onda elettromagnetica è sensibile. Qualche decina di metri oltre il fabbricato, vi sono dei macchinari industriali. La stessa radio afferma che si tratta di impianti chimici. La via, quindi, continua verso Zakhu, con il Lago Mosul che svanisce nel deserto. Dall’altro lato dello stesso lago, c’è il sito di Al-Jazira, nei pressi del crocevia tra le strade che uniscono Dibshiya a Grfir e Ain Uwals allo stesso abitato di Al-Jazira. L’impianto era rivolto alla produzione di ossido di uranio (UO2) e di uranio tetracloride (UC14). Quest’ultimo elemento era prodotto anche nell’adiacente sito di Al-Adaya. A Sirsenk, vi è un aeroporto.

Prima della confine con la Turchia, la “gabbia” di sicurezza dell’esercito diventa più opprimente. Se non ci sono problemi, i soldati che presidiano le cabine ai lati delle vie espongono una bandiera verde al passaggio delle macchine. La centrale di Zakhu è posta nella parte nord-est della città, ma potrebbe essere solo un impianto termoelettrico. Ancora una volta, la struttura è identica alle centrali di Erbil, di Ain Sifne e del Lago Mosul. Si notano le estremità delle torri annerite dalla combustione del gasolio. Zakhu è una città blindata. Per entrare, occorre sorpassare un checkpoint, che interrompe la strada. Le basi dell’esercito costeggiano il confine. Si notano caserme, torrette di controllo e postazioni militari. La Turchia inizia poche centinaia di metri oltre la frontiera. La squadra di miliziani che mi ha intercettato a est di Bashiqah, mentre viaggiavo verso Erbil, potrebbe essere stata allertata a Zakhu. La mia auto è stata fermata da quattro uomini vestiti in borghese, armati di kalashnikov, spostatisi a bordo di un furgone attrezzato con un mitragliatore. Questo commando avrebbe potuto non appartenere all’armata della resistenza e avrebbe potuto essere connesso alle guardie di frontiera. I poliziotti e i militari regolari dell’Iraq, però, diventano facilmente insurgenti avversi alla Nato.

Gli altri siti esistenti in Iraq confermano senza dubbio la disponibilità di testate atomiche, prima della guerra. Il reattore di Osirak fu colpito da aerei iraniani nel 1980, dagli israeliani nel 1981 e dagli statunitensi nel 1991. L’Iraq aveva già sviluppato un evoluto programma nucleare segreto. Le offensive di Iraqi Freedom, a partire dal 2003, furono destinate alla distruzione dei siti noti. I maggiori impianti erano dislocati a sud di Baghdad, presso il centro di Al-Tuwaitha, che ospitava strutture per progetti petrolchimici e per la lavorazione di plasma, ioni, combustibile ed elementi chimici, oltre a caseggiati per ricerche, laser e test magnetici, con laboratori rivolti all’arricchimento dell’uranio, alla separazione del plutonio, alla preparazione del metallo di uranio per le testate (UNH), al trattamento dei materiali radioattivi di scarto e alla definizione degli isotopi UO2, UF4, UF6, U308 e UC14.

A Rashidiya, vi erano centrifughe per l’arricchimento gassoso e per la raffinazione dell’UF6. Macchinari e componenti erano costruiti e montati nei siti di Falluja (Al-Shaheed e Al-Ameer), Khandri (Al-Radwan), Taji (Al-Zahf Al-Kabir), Badr, Zaafarniya, Dawrah, Salah Al-Din e Al-Furat. La nitroglicerina liquida era sintetizzata ad Al-Amil. L’arricchimento chimico era sperimentato a Samarra, mentre Baghdad, Iskandariya, Al-Tarmiya, Al-Qaim e Nassiriya racchiudevano altri siti. Le miniere erano dislocate ad Abu Sukhayr e Akashat. La capacità di produrre uranio altamente arricchito comportava, ovviamente, la separazione degli isotopi di uranio impoverito, utilizzabili in ambito militare. La produzione e lo sviluppo degli armamenti erano eseguiti ad Al-Atheer, Al-Hatheen e Al-Musayyib, Mosul, Al-Shaykili, Taji, Abu Ghrayb e Al-Tuwaitha. Gli iracheni riferiscono l’esistenza di un altro sito a Bassora.

D’altronde, gli Stati Uniti hanno utilizzato armi all’uranio per gli attacchi di Iraqi Freedom, causando una “sindrome giapponese”, dovuta alla radioattività. Nel mondo, la diffusione della tecnologia atomica è tale da far supporre forze armate capaci di produrre armi non convenzionali, oltre alle nazioni già riconosciute. L’Iran di Rafsanjani e la Libia di Gheddafi sono sicuramente potenze atomiche. Il Vietnam diventò una guerra delle nazioni asiatiche contro gli Stati Uniti. I conflitti in Iraq e in Afghanistan sono, adesso, guerre degli arabi contro gli stessi Usa, che attirano gli specialisti della jihad, al-Qaida, servizi segreti e reparti degli eserciti degli Stati islamici. Gli armamenti di cui disponeva l’Iraq motivano quindi la corsa al riarmo dell’Iran, che continua a produrre uranio arricchito e plutonio nel sito di Natanz e che dispone di tecnologia nucleare evoluta. Mi è chiaro che gli attentati alle Torri Gemelle furono ordinati e programmati da Saddam e dagli iracheni, visti tutti gli elementi che ne hanno motivato l’esecuzione: l’invasione del Kuwait, la Guerra del Golfo, le “no-fly zones”, il programma “Oil for Food”, il conflitto israelo-palestinese, il reclutamento dei guerriglieri del Wkk e di al-Qaida, di talebani afgani e di egiziani. Osama bin-Laden e Omar sono verosimilmente morti. La jihad è diventata una guerra suicida contro l’Occidente, che ha causato delle stragi dovute al conflitto di civiltà sui fronti arabi, dove il sistema produttivo impiegherà anni per giungere a un livello apprezzabile.

Alessandro Ceresa ©

20/11/2008