Iraq
La guerra in Iraq è quasi finita. Si può percepire, nettamente, la richiesta di una tregua. Gli Stati Uniti bombardano tuttora le postazioni della resistenza e mantengono i propri soldati in ampie zone dello Stato. Altrove, le truppe irachene hanno sostituito i militari occidentali. Gli attentati causano decine di morti e centinaia di feriti. I checkpoints delimitano una precisa rete di sicurezza. In Kurdistan, i militari guardano il passaporto e fanno cenno di proseguire. A volte, i passeggeri sono costretti a scendere dalle macchine, ma non vi sono altri problemi. Si registrano scontri armati tra curdi e iracheni. È stata scoperta una fossa comune con 500 morti, derivanti dalla repressione che Saddam eseguì negli anni ‘80. I curdi sono soddisfatti della condanna del rais e, come i tibetani, aspirano ad una forma di autonomia per la propria nazione. I lanci di missili dell’esercito turco, rivolti alle città di confine, non si sono fermati. Nel weekend, i jet di Ankara hanno colpito una base nei dintorni di Avasin-Baysan. Prima di arrivare a Zakhu, vi sono i segni recenti di una bomba, esplosa in un parcheggio. Si notano pezzi di vetture, terra bruciata e smossa. Potrebbero esserci stati dei cadaveri. Nei pressi di Bashiqah, quattro miliziani armati di kalashnikov, con una mitragliatrice appoggiata sopra la cabina di un furgone, hanno bloccato la mia auto, chiedendomi il passaporto. L’autista è potuto ripartire quasi subito. La radio, dopo, ha parlato dell’”armada della resistenza”, che avevo già sentito nominare a Kuwait City. Si tratta degli “insorgenti”, che possono contare, ovviamente, sul sostegno della popolazione. Il Kurdistan mostra le stesse difficoltà del resto della nazione. La gente vive al di sotto degli standards europei e rasenta, a volte, la soglia di sussistenza, anche se l’Iraq è uno Stato più evoluto dell’Afghanistan. L’economia è arretrata. Gli iracheni sono esasperati dall’invasione statunitense. Dicono che non si può ridurre così un popolo. Le vittime potrebbero essere 50.000, 200.000, 300.000. D’altra parte, il conflitto è la conseguenza dell’effetto domino provocato dall’invasione del Kuwait, dal primo intervento americano, dal programma “oil-for-food”, dalle “no-flying zones” e dagli attentati alle Torri Gemelle. Baghdad rimane sotto l’occupazione americana. Gli addetti dell’Ambasciata italiana affermano che si sentono le esplosioni degli attentati. Aerei a doppia elica ed elicotteri da guerra volano sopra la capitale. Baghdad. Case color sabbia, minareti e abitati del potere. Gli ufficiali iracheni della dogana mi hanno vietato di entrare. Come giornalista, non ho potuto avere un visto temporaneo. Al Zawahiri, il numero due di al-Qaida, sarebbe stato “deportato” da Baghdad ad Amman, secondo le informazioni fornite dallo speaker dell’aeroporto. Erbil, il capoluogo del Kurdistan, vive in stato di guerra. Ci sono sentinelle militari ai cancelli di quasi tutte le abitazioni, poste al riparo di muri di cinta. I soldati fanno sentire lo scatto delle leve di sicurezza dei mitra. Le macchine hanno i vetri rotti. Si sentono i rumori dei proiettili contro le portiere e contro le ringhiere che costeggiano le strade. Sono sfere di metallo, verosimilmente. Si vedono persone che zoppicano. La città è tranquilla. I furgoni dell’esercito sostano agli incroci. Le camionette cariche di militari sfrecciano di notte.
18/08/2008