Iran: Natanz e centrali atomiche

L’Iran potrebbe essere tra le potenze nucleari? È indubbio che il livello raggiunto dallo Stato orientale nella produzione di uranio arricchito e di isotopi radioattivi sia già notevole. Lo sfruttamento della tecnologia atomica in ambito militare, inoltre, differisce solo per pochi aspetti dalla destinazione civile. Le sanzioni dell’Onu non sembrano intimorire Ahmadinejad, che ha annunciato la continuazione del programma e l’avvio di altre 3.000 turbine nella centrale per l’arricchimento di Natanz. La struttura, in piena attività, è facilmente raggiungibile, siccome dista solo 300 chilometri da Teheran (oltre il limite del deserto di sale) ed è inserita sulla strada statale che unisce la città di Kashan e il centro abitato della stessa Natanz, a 30 km dall’agglomerato urbano. È impossibile sbagliare: il sito appare in mezzo alle dune. Le coperture bianche degli edifici amministrativi e dell’impianto sperimentale corrispondono alle immagini satellitari. Si vedono una dozzina di fabbricati. Le misure di sicurezza sono straordinarie e sembrerebbero progettate anche per far fronte ad attacchi aerei. Il perimetro è presidiato dall’esercito ed è circondato da un terrapieno, da torrette di controllo e da pezzi di artiglieria, sia leggeri, che pesanti, con obici di 7-8 metri. Il lato ovest è difeso da una catena montuosa, mentre il lato nord è posto al riparo di una serie di colline. I militari sparano saltuariamente nelle campagne adiacenti: le granate lasciano una traccia orizzontale in mezzo agli arbusti. Si ha il sospetto che l’area sia stata usata per sperimentare piccole deflagrazioni. Il parcheggio ospita due decine di auto, appartenenti agli addetti. L’entrata è impedita da una cancellata. Si notano lavori in corso, gru, una terminazione per la fornitura di energia elettrica, un silos, una ciminiera, camion carichi di detriti che portano materiale inerte e strutture cilindriche simili alle torri evaporative di raffreddamento dei reattori. Nel sottosuolo, è stato realizzato lo spazio per alloggiare 50.000 centrifughe. Ne occorrono solo poche centinaia per ottenere la quantità di isotopo U235 indispensabile per un arsenale nucleare. Nei pressi del sito, si percepiscono sensazioni di acuto mal di testa, bruciore agli occhi e blocco alla gola, che potrebbero essere dovute a un campo di radiazioni elettromagnetiche, causato dalle operazioni dell’impianto, a esalazioni di gas, o ad altre attività atomiche. L’arricchimento prevede la centrifugazione dell’uranio esafluoride UF6, un solido comprendente anche sei atomi di fluoro, che sublima allo stato gassoso oltre i 56 °C. Gli isotopi più leggeri di uranio arricchito (U235) si dividono quindi da quelli più pesanti: U234 e U238. Quest’ultimo, definito uranio impoverito, è sfruttato normalmente in ambito militare, viste le caratteristiche esplosive. Si tratta di un aspetto non indifferente, siccome l’Iran adesso può produrre munizioni incendiarie perforanti (bombe e proiettili), che al momento dello scoppio diffondono primariamente radiazioni dovute all’emissione di particelle alfa e, come prodotto di decadimento, particelle beta e raggi gamma. Se assoggettato ad un flusso di neutroni, l’isotopo U238 si trasforma velocemente in plutonio 239, componente impiegato per le armi nucleari, come la parte di U235. Al termine, l’esafluoruro è riconvertito in uranio metallico e in fluoro gassoso. La percentuale dichiarata di raffinazione degli isotopi (3,5%-5%) non è ancora soddisfacente per produrre ordigni ad alto potenziale, che esigono l’80%-90% di uranio arricchito, ma può fornire il combustibile per i reattori ordinari (che adesso Teheran deve importare) e materiale con minori qualità detonanti. All’inizio dell’abitato di Natanz vi sono le caserme e i dormitori dei militari. Qualche chilometro oltre la centrale, i mortai dell’esercito proteggono una torre, di grandezza inferiore, che non sembra rivestire importanza dal punto di vista strategico. L’intero ciclo di produzione è completato in altri siti. Il problema della contaminazione dovuta alla presenza di particelle di uranio resterebbe irrisolto, come per i componenti delle centrifughe e degli equipaggiamenti di Arab Jamahiriya, in Libia. Gheddafi, tuttavia, sostiene che Tripoli vorrebbe utilizzare l’energia nucleare esclusivamente in ambito civile. Dal 1988, l’Iran ha aperto 10 miniere di uranio. Le riserve stimate sono pari a 5.000 tonnellate. La raffinazione dell’U308 è ottenuta nei pressi di Yazd. L’elemento grezzo è quindi convertito in uranio metallico, ossido di uranio (UO2) ed uranio esafluoride (UF6) nel maggiore centro nucleare della nazione, Isfahan, dove, secondo gli esperti statunitensi, sono stati realizzati i seguenti impianti: Miniature Neutron Source reactor (Mnsr), Light Water Sub-Critical Reactor (Lwscr), Heavy Water Zero Power Reactor (Hwzpr), Graphite Sub-Critical Reactor (Gscr), Fuel Fabrication Laboratory (Ffl), Uranium Chemistry Laboratory (Ucl), Uranium Conversion Facility (Ucf), Fuel Manufacturing Plant (Fmp). Il complesso per l’ottenimento di acqua pesante di Arak ribadisce l’intenzione di proseguire anche la costruzione di un reattore che potrà essere sfruttato per la formazione di plutonio e, quindi, di armi atomiche. L’impianto di Bushehr ha una tecnologia differente (ad acqua leggera) ed è meno adatto, anche se le capacità effettive potrebbero essere oggetto di un’indagine più approfondita. Il Teheran Nuclear Research Center è un sito di ricerca, piantonato dall’esercito. Ogni tanto i militari sparano, nonostante la presenza, nel quartiere, di condomini abitati da cittadini. La struttura è sistemata a est della Milan Tower, nella parte nord della capitale, a sud della Resalat Highway. La copertura rotonda, in cemento, del reattore sperimentale, le due ciminiere, l’antenna per la radio e i capannoni appaiono abbastanza obsoleti, dall’esterno. Gli edifici sono controllati da telecamere. Si sente il continuo sibilo di un macchinario. Le recinzioni di reti e filo spinato comprendono anche una vasta parte di terreno. Si vede una nuova abitazione, staccata dal resto dell’agglomerato, che potrebbe ospitare il Laboratorio Jabr Ibn Hayan. All’interno del centro, vi è anche la tecnologia per l’arricchimento dell’uranio tramite laser. Il procedimento per la divisione degli isotopi è completo e vi sono sospetti non confermati in merito al fatto che le attrezzature permettono di estrarre plutonio dal combustibile nucleare spento (la prima separazione risalirebbe al 1992). Tre anni fa, l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica rivelò che l’Iran aveva evitato di rendere noti i rapporti inerenti sia questa attività, sia lo smaltimento del materiale radioattivo. L’Aiea ha riscontrato anche tracce di plutonio in Iran e si è lamentata per non aver ricevuto chiarimenti. Un altro sito rilevante è, infine, Hemmat, alloggiato all’estrema periferia orientale di Teheran, sorvegliato dai Pasdaran. Oltre agli stabili destinati ai sistemi elettronici ed aerospaziali, l’impianto è rivolto allo sviluppo di missili moderni, grazie alle tecnologie duali. Lo spazio per i test si trova nella zona montuosa confinante. L’Iran oggi dispone di vettori con una gittata di 2.000 km.

15/07/2007