Storie di mafia: Matteo Messina Denaro, le mafie, gli appalti e “i soldi”

“Iddu”…ovvero…”Lui”, in dialetto siciliano. A Castelvetrano, capoluogo dell’omonimo mandamento in provincia di Trapani, gli abitanti utilizzano questo termine per riferirsi a Matteo Messina Denaro, il capomafia inserito tra i principali latitanti, anche a livello internazionale, che la Direzione Investigativa Antimafia (Dia) definisce tuttora “la figura criminale più carismatica di Cosa Nostra e in particolare della mafia trapanese…principale punto di riferimento per far fronte alle questioni di maggiore interesse che coinvolgono l’organizzazione, per la risoluzione di eventuali controversie in seno alla consorteria, o per la nomina dei vertici di articolazioni mafiose anche non trapanesi.” Lui, ricercato da decenni, condannato per reati plurimi, tra cui omicidi e associazione a delinquere di stampo mafioso, riesce tuttora ad evitare la cattura, grazie alla rete di fedelissimi fiancheggiatori che ne permettono la latitanza. Nessuno sa dove si possa trovare e il territorio siciliano offre una molteplicità di possibili nascondigli. Gli arresti degli altri grandi capimafia (Riina, Provenzano, Raccuglia,…) potrebbero far pensare che Messina Denaro possa nascondersi proprio nel mandamento di Castelvetrano, al cui vertice si pose in sostituzione del padre, giungendo a rappresentare il sodalizio dell’intera provincia di Trapani all’interno della Cupola, fino ad essere definito il leader di Cosa Nostra, per l’influenza sovraprovinciale che riusciva ad avere, anche in virtù dei legami tra la mafia trapanese e quella palermitana.

All’inizio del mese di settembre, una maxi operazione condotta dai Ros dei Carabinieri e dal comando provinciale di Trapani ha condotto all’arresto di 35 persone, con 70 indagati, accusati di favorire la latitanza del boss. Messina Denaro compare anche tra i mandanti delle stragi di Capaci e di Via D’Amelio, quando, ancora giovane, partecipava alle riunioni della struttura apicale di Cosa Nostra, durante la leadership di Totò Riina.

Ci sono degli identikit che mostrano l’aspetto che potrebbe avere oggigiorno il boss, adesso sessantenne, tratti dall’ultima fotografia originale disponibile, quando era in giovane età. Il grosso naso e la grave miopia, che lo costringe a portare gli occhiali, forniscono le indicazioni più rilevanti. In passato, tra i suoi parenti, furono arrestati anche la sorella Patrizia e Francesco Guttaduro, il nipote prediletto, figlio di Giuseppe Guttaduro, già noto per essere un abile “mediatore” tra interessi economici, politici e mafiosi. A pochi chilometri da Castelvetrano c’è Mazara del Vallo, dove fu catturato il fratello di Totò Riina, Gaetano, adesso agli arresti domiciliari. Nel 2020, furono incarcerati numerosi fiancheggiatori di Messina Denaro, tra cui Francesco Domingo, ritenuto boss di Castellammare del Golfo, posto al vertice del collegamento tra le articolazioni mafiose trapanesi e Cosa nostra statunitense.

“Segui i soldi”: seduto nei bar e nei ristoranti posti nei dintorni di Castelvetrano, ascolto i commenti degli avventori, incuriositi dalla mia presenza e disposti a pronunciare mezze frasi con piccole informazioni. “I Guttaduri”: gli avventori del locale sibilano parole in codice. “Alessio…qua…”. Alessio era il nome che Matteo Messina Denaro usava per firmare i pizzini che inviava a Bernardo Provenzano, riguardanti le attività da svolgere da parte della consorteria mafiosa, che prediligevano, già allora, lo svolgimento di funzioni economiche. Il riferimento al luogo potrebbe far pensare che Messina Denaro riesca davvero a celarsi nei dintorni. 

“Le auto”, “le discoteche”: i commenti proseguono e mi fanno intendere che il capomafia mantiene tuttora interessi economici nella zona, che possono, in ipotesi, comprendere concessionari d’autovetture, supermercati, immobili, ristoranti, resorts, pizzerie, locali. Mi viene in mente che le attività economiche a lui riconducibili possano essere attribuite, direttamente o indirettamente, a suoi familiari e che possano essere molteplici. Cerco di individuare i posti più lussuosi. Acquisto o consumo qualcosa, pago con il bancomat e tengo la ricevuta o lo scontrino. Messina Denaro era un agricoltore, in gioventù. Leggo le etichette delle bottiglie di olio. Le ragioni sociali delle varie società non mi forniscono informazioni particolari. Le dissimulazioni giuridiche che possono impiegare gli esperti sono plurime, al fine di celare le proprietà reali. Penso che gli investimenti immobiliari possano ricoprire sicuramente un ruolo interessante e che possano costituire un obiettivo principale di riciclaggio dei capitali della mafia. Gli arresti e le confische di beni eseguiti negli anni hanno peraltro confermato che Messina Denaro e Cosa Nostra si rivolgono adesso soprattutto alle infiltrazioni nel tessuto economico, nelle imprese operanti in Sicilia e altrove. Le centrali del riciclaggio tramite le quali l’organizzazione criminale, divenuta “azienda”, riesce a “pulire” i proventi derivanti dalle attività illecite possono essere molteplici. Per poterle individuare, si dovrebbero effettivamente seguire “i soldi”, ovvero la presenza di ingenti quantità di risorse finanziarie, magari suddivise tra i diversi prestanome.

In passato, i sequestri di patrimoni illegali nella zona colpirono ad esempio il gruppo Grigoli, che gestiva la catena di supermercati Despar nel trapanese. Di recente, le indagini condotte dalle forze dell’ordine hanno permesso di individuare e confiscare innumerevoli proprietà per miliardi di Euro. Castelvetrano, d’altra parte, non presenta un tessuto industriale particolare, nonostante raggiunga quasi 30.000 abitanti, ma colpisce il fatto che esistano, soprattutto nella zona a sud del centro, numerosi esercizi dediti al settore terziario e soprattutto al commercio, con i relativi investimenti, appartenenti persino a marchi di livello nazionale. Si vedono cospicui lavori edili in corso di realizzazione. La mafia trapanese, scrive la Dia, è da sempre orientata a perseguire i propri “affari”. Ai margini della strada che conduce a Selinunte vedo numerose ville, poste al riparo di muri di cinta e cancelli. Mi impressiona un intero immobile, situato in periferia, tappezzato di cartelli elettorali e contraddistinto dall’insegna “Comitato elettorale”. C’è da chiedersi chi possa pagare tutto questo impegno politico. E’ facile ricordarsi anche delle spese pazze della Regione Sicilia, che in veste di regione autonoma ha ampie capacità finanziarie.

Insanguinata dalle storiche guerre di mafia e da contrasti tuttora attuali, la società siciliana ha deciso di volgere la propria azione allo sviluppo economico e di limitare i contrasti. In questa direzione, si inseriscono, in un’ottica più ampia, sia le alleanze con le altre organizzazioni criminali (la ‘Ndrangheta, la Camorra, la Stidda, la rampante mafia nigeriana,…), sia l’attenzione posta verso le rappresentanze politiche, soprattutto verso l’influenza che la Sicilia è in grado di avere nei confronti di chi comanda a Roma. Questo fatto discende dalla linea che ha voluto imprimere Matteo Messina Denaro.

Non mi piace parlare di politica. Penso che abbandonare la politica aiuti l’evoluzione di un pensiero indipendente. Mi piace narrare la verità, la verità sputata in faccia, oltraggiante, nuda e cruda. La sfera politica è in ogni caso un elemento di analisi che deve essere compreso nel momento in cui si parla di Cosa Nostra. Innanzitutto, mi colpisce come l’ultima relazione semestrale della Dia indichi molto correttamente il riferimento alle collusioni tra i gruppi criminali e i loro esponenti, da una parte, con i politici e i rappresentanti delle amministrazioni, dall’altra. Oltre alle quantità di risorse finanziarie provenienti dai tradizionali canali delle attività criminali (spaccio di droga, estorsioni, prostituzione, usura, omicidi, gioco d’azzardo, traffico d’armi,…), infatti, è chiaro come le organizzazioni mafiose si debbano sostentare, non solo in Sicilia, ma in tutto il territorio nazionale, tramite gli enormi flussi di denaro pubblico provenienti dagli appalti, o dalle leggi di finanziamento, o dalle sovvenzioni di carattere persino europeo. Gli esempi di tali connessioni sono numerosi.

Il Codice degli Appalti, che costituisce la normativa di riferimento per le commesse pubbliche, da un lato ha progressivamente regolato un settore che permetteva innumerevoli abusi, ma consente tuttora, tramite il sistema degli affidamenti diretti e delle valutazioni preferenziali delle relazioni tecniche nelle aggiudicazioni, possibilità di scelte estremamente discrezionali in capo alla pubblica amministrazione, tramite le quali possono essere favorite le realtà economiche vicine o appartenenti alla criminalità. Mi ricordo l’ascesa dei Corleonesi, spesso capaci, tramite l’intervento di Vito Ciancimino, di farsi aggiudicare miliardi di lire di appalti pubblici. In ogni Comune, diventa però facile individuare le responsabilità, poste in capo agli amministratori, ovvero agli esponenti politici, e agli uffici tecnici, preposti alla gestione degli appalti stessi.

È in questo senso che la politica assume un’importanza che, d’altronde, non avrebbe… Ed è in questo senso che la mafia siciliana è da sempre attenta alle dinamiche politiche, perché queste ultime le permettono di accaparrarsi capitali ingenti. Non penso che nessun partito sia esente da collusioni, per questo motivo. In ogni evenienza, la mafia è sempre pronta a stringere alleanze con chi effettivamente si trova ad esercitare il potere politico. Storicamente, mi ricordo le connessioni dei mafiosi con il Pentapartito e con la Democrazia Cristiana in particolare, nonostante vicissitudini che a tratti si espressero in modo contrastante. Curiosamente, a livello internazionale, in un periodo storico caratterizzato dalla Guerra Fredda e dalla necessità di contrastare l’espansionismo sovietico, tale alleanza poté persino fregiarsi del benestare degli americani, intenzionati a mantenere in Italia dei Governi geopoliticamente orientati al contrasto del comunismo, anche se, ovviamente, vista la diffusione della società mafiosa in Italia, prima il Pci e il Centro-Sinistra in seguito non furono assolutamente esenti da connivenze palesi.

Questo sistema entrò in crisi con il decadimento e la fine della Prima Repubblica, innescati da Tangentopoli. Da allora, diventò chiaro il voto delle regioni del Sud Italia, contraddistinte dai fenomeni criminali più evidenti (ma non per questo meno diffusi che al Nord), a favore di quei partiti che avrebbero potuto difendere gli interessi finanziari dei sodalizi. Un esempio può essere fornito dal progetto del Ponte sullo Stretto di Messina, chiesto a gran voce da Cosa Nostra e ‘Ndrangheta in quanto foriero di possibili miliardi di appalti, presentato da diversi Governi anche a livello europeo al fine di ottenere i finanziamenti in oggetto. Marcello Dell’Utri fu condannato a 7 anni di carcere, definitivamente, dalla Corte di Cassazione, nel 2014. Tra le motivazioni poste alla base della sentenza di primo grado (risalente al 2004) si legge “La pluralità dell’attività posta in essere da Dell’Utri, per la rilevanza causale espressa, ha costituito un concreto, volontario, consapevole, specifico e prezioso contributo al mantenimento, consolidamento e rafforzamento di Cosa Nostra, alla quale è stata tra l’altro offerta l’opportunità, sempre con la mediazione di Dell’Utri, di entrare in contatto con importanti ambienti dell’economia e della finanza, così agevolandola nel perseguimento dei suoi fini illeciti, sia meramente economici che politici”. E ancora: “Vi è la prova che Dell’Utri aveva promesso alla mafia precisi vantaggi in campo politico e, di contro, vi è la prova che la mafia, in esecuzione di quella promessa, si era vieppiù orientata a votare per Forza Italia nella prima competizione elettorale utile e, ancora dopo, si era impegnata a sostenere elettoralmente l’imputato in occasione della sua candidatura al Parlamento europeo nelle file dello stesso partito, mentre aveva grossi problemi da risolvere con la giustizia perché era in corso il dibattimento di questo processo penale.”

In altri termini, fu constatato che le mafie sono in grado di ottenere propri rappresentanti tra i parlamentari. Il concetto espresso nella sentenza può essere costantemente applicato a qualsiasi partito od esponente politico, o appartenente al mondo della finanza. Mi vengono in mente alcuni nomi di imprenditori siciliani. Noto (e mi è facile giudicare) come l’azione concertata dei politici corrotti sia in grado di promuovere leggi in grado di minare il sistema di diritto posto, con le sue difficoltà, a contrasto della criminalità. Mi è sufficiente vedere le proposte di legge riguardanti temi come l’indebolimento delle misure di prevenzione severe a carico dei mafiosi, o le intenzioni di debilitare la magistratura nello svolgimento del suo difficile compito. Ricordo, a proposito, il “papello” di Riina, con le pretese inoltrate nell’ambito della trattativa Stato-mafia. Al di là della propaganda politica, si può valutare l’azione politica mafiosa dalle leggi promulgate a favore dell’illegalità.

Le ultime elezioni hanno evidenziato un enorme consenso per il Movimento 5 Stelle al Sud. Questo non significa, per il momento, che vi sia una collusione consolidata con il fenomeno mafioso: si tratta di un aspetto che fa comprendere come la stretta correlazione di questo partito con il reddito di cittadinanza evidenzi il disagio economico di individui e famiglie nel Meridione. In questo contesto, si comprende quanto scrive la Dia, in merito al ruolo “sociale” della mafia, che assicura risorse finanziarie ai propri adepti e alle loro famiglie, diventando un fenomeno difficile da estirpare. La società mafiosa, ovviamente, asseconda, favorisce e sostiene le attività economiche dei soggetti a lei appartenenti. In antitesi, però, la mafia crea povertà: aggredisce l’imprenditoria, ostacola gli investimenti, indebolisce il sistema di diritto, impedisce la crescita economica. Noto ad esempio la rete autostradale siciliana. I collegamenti tra i maggiori centri sono stati completati e il sistema infrastrutturale è quasi a posto, ma non vi sono investimenti privati, le aree di servizio sono rarissime, o inesistenti, le zone di sosta sono invase da rifiuti. L’edilizia privata mostra allo stesso tempo immobili non completati, o finiture non realizzate. Mi è chiaro che il Sud Italia ha grandi possibilità di crescita, per merito della cultura diffusa e dell’ambiente unico. Ritengo che l’autoimprenditorialità possa essere una soluzione e che per questo debba essere favorita.

“Segui i soldi”…può anche voler dire…”Denaro è qui”… Ho lasciato Castelvetrano in mattinata, dopo aver scattato un po’ di fotografie alla zona commerciale. Guardo gli impianti eolici posti ai margini della strada che conduce verso Salemi. Alcuni imprenditori della zona, operanti proprio in questo settore, furono arrestati in passato con l’accusa di essere fiancheggiatori di Messina Denaro. Trapani è una bella città. A tratti, il centro esprime ricchezza. La periferia, a differenza di Palermo, non mostra zone particolarmente degradate. Apprezzo sempre l’affabilità, la cordialità e la gentilezza dei siciliani. Solo in alcune occasioni, mi è capitato di percepire un certo grado di tensione nei rapporti interpersonali: a Corleone, ad esempio, ma anche a Castelvetrano, forse in virtù del fatto che si tratta di luoghi in cui la tradizionale appartenenza mafiosa è molto diffusa. Posso testimoniare che alla Favarella, quartiere palermitano dove si trovava la villa del boss Michele Greco, sede delle riunioni della Cupola, vi è tuttora un preciso controllo del territorio da parte degli uomini del clan. Ho avuto la stessa impressione a Castelvetrano.

“Verso Zangara”: ripenso alle ultime parole che mi sono state sussurrate. La Contrada Zangara è una zona a est di Castelvetrano, particolarmente nota, per il fatto che molti terreni appartenevano alla famiglia D’Alì, che aveva avuto alle proprie dipendenze sia Matteo Messina Denaro, sia suo padre Francesco, mentre la proprietà di altri appezzamenti era stata ricondotta esattamente allo stesso boss latitante e a Totò Riina.

Seduto ad un tavolo del Grand Hotel et des Palmes di Palermo, rileggo quanto ho scritto di getto, cercando di fornire un quadro complessivo, cercando di ricapitolare le informazioni più importanti e di integrare la narrazione. Ho raggiunto il centro della città percorrendo per l’ennesima volta l’autostrada proveniente dall’aeroporto. Ho visto il memoriale dedicato alla strage di Capaci nei pressi dello stesso svincolo. Mi chiedo, nel momento in cui i politici propongono variazioni peggiorative delle norme antimafia, se non provano vergogna, di fronte al ricordo di Falcone, di Borsellino e di tutti gli uomini che hanno perso la vita per colpa della mafia. Il Grand Hotel et des Palmes presenta un’atmosfera dorata. In passato, fu teatro di fatti misteriosi. Vi morirono lo scrittore francese Raymond Roussell, in circostanze oscure, nel 1933, una spia inglese, accoltellata alla schiena, nel 1937 e un agente segreto americano, precipitato dalla finestra, nel 1961. L’aspetto più interessante del Grand Hotel è però costituito dal fatto che la struttura fu sede nel dopoguerra, di incontri tra faccendieri, mafiosi ed esponenti del mondo dell’economia e della politica. Nel 1956 vi si tenne il primo summit mafioso della Cupola siculo-americana, organizzato da Lucky Luciano, che condusse anche in Sicilia alla costituzione di una Commissione Interprovinciale, la Cupola, formata dai principali boss, volta a decidere in merito ai contrasti interni all’organizzazione. In questa atmosfera, mi tornano in mente i romanzi di Leonardo Sciascia.

Vi è attualmente un cambiamento all’interno della mafia. Ai vecchi esponenti dei clan criminali, si affiancano costantemente e ottengono sempre maggior peso, in tutta Italia, i rappresentanti dell’economia mafiosa. Posso confermarlo, avendo bene in mente le dinamiche della mafia al Nord. A Castelvetrano si sente dire che comunque l’egemonia regionale è tuttora in mano ai gruppi di Palermo e di Corleone, perché nel capoluogo transitano i maggiori capitali. Attraversando la città, nonostante l’architettura a tratti barocca, a tratti bizantina, apprezzabile, di numerosi immobili, rilevo il degrado di molti quartieri, fatiscenti, che fanno comprendere come la situazione economica, per molte persone, sia fragile. La leadership della ‘Ndrangheta nell’ambito del traffico di stupefacenti è riconosciuta a livello internazionale. Dal porto di Gioia Tauro passano tonnellate di droga. Cosa Nostra agisce ad un secondo livello. Palermo oggi è divisa in 7 mandamenti (San Lorenzo – Tommaso Natale, Resuttana, Porta Nuova, Pagliarelli, Ciaculli, Villagrazia Santa Maria di Gesù, Passo di Rigano Bocca di Falco, della Noce), ai vertici dei quali vi sono le principali famiglie egemoni. Finita la stagione stragista, gli omicidi correlati all’attività mafiosa sono sporadici. Cerco di sintetizzare un pensiero che mi propongono molte vicende storiche: ricordatevi che la vita è una sola; se uccidete qualcuno, passerete il resto della vostra in carcere.

Alessandro Ceresa

26 settembre 2022