Il capomandamento della Provincia
di Trapani, Matteo Messina Denaro, è uno degli ultimi grossi boss mafiosi
tuttora latitanti. Designato da Cosa Nostra al vertice della Commissione
Interprovinciale per domandare il varo del progetto del ponte sullo Stretto, Denaro
riesce a celarsi agli investigatori, grazie, probabilmente, ad un reticolo di aiutanti
che ne sostiene la contumacia. Lo scambio di voti politico-mafioso per il ponte
di Messina giunse però a livelli governativi: Cosa Nostra decise di destinare i
propri voti ai politici e ai partiti che promisero l’avvio del progetto
dell’infrastruttura irrealizzabile. La mafia siciliana e la ‘Ndrangheta,
sostanzialmente, ottennero il supporto di esponenti come Berlusconi, Dell’Utri
e Alfano. La Cupola mafiosa restò formalmente diretta da Messina Denaro. Condannato
all’ergastolo nel 2002, il capomandamento di Castelvetrano costituì, come
Brusca, Bagarella, Giuffrè, Graviano e La Barbera, un mandante della strategia
stragista di Cosa Nostra, che culminò negli attentati condotti nel 1993 a
Firenze, Milano e Roma. Dopo gli arresti di Virga e di Provenzano, Denaro assunse
il ruolo di capomafia della Provincia di Trapani e della Commissione
Interprovinciale. Le incarcerazioni di individui e i sequestri di patrimoni a
lui riconducibili posero in difficoltà il sodalizio di Castelvetrano, che restò
egemone. In passato, i contatti di Messina Denaro giunsero fino al senatore del
Pdl Antonio D’Alì. Il network di connessioni del capomandamento si estese al
Nord e al Sud America, alla Calabria, a Palermo e all’Europa. Indubbiamente, i
grossi arresti e gli espropri riuscirono a limitare l’attività del latitante.