Immortali: Arkan

Sono a Belgrado. Adesso sono sicuro che Arkan è vivo. Sono appena rientrato in albergo, dopo esser stato all'Hotel InterContinental, dove si svolse la finzione della sua morte. Sapevo che qualcuno mi stava aspettando ed ero in ritardo. Sono entrato velocemente e mi sono seduto al solito posto, al tavolo dove il sicario non sparò ad Arkan, ma a un manichino. "Siediti lì", mi aveva detto una persona di 50 anni, che stava colloquiando con altri ospiti al tavolo adiacente. In pochi secondi, ho riconosciuto quella persona, vestita con abiti verdi, in stile militare: Arkan. Non avrei potuto sbagliarmi: avevo studiato le sue foto e i lineamenti del viso. "Sì, sono Arkan", ha detto, girandosi verso di me. Non ho perso tempo: ho estratto il telefono portatile, ho scattato una foto e ho girato un breve video, facendogli capire che utilizzavo il telefono velocemente, come un'arma, come una rivoltella. Ho bevuto qualcosa, fumando delle sigarette, intervenendo nei discorsi del gruppo. Gli altri si riferivano a lui dicendo "Arkan". Gli ho raccontato delle incarcerazioni subite in Iraq e in Iran. Ho raccontato anche l'ultimo viaggio al sito nucleare di Osirak, in una Baghdad sotto la guerra, resa inestricabile dai checkpoints, dai muri e dal filo spinato. Arkan mi ha detto che ho "problemi con Berlusconi", aggiungendo che "Berlusconi è uno stupido" e mi ha fornito un target, il Tibet, siccome conosce il Dalai Lama. Gli altri gli hanno dato dei soldi e si sono avviati verso l'uscita. Lui ha preso una valigetta e se ne è andato.

30/12/2008